Amèlie Nothomb, classe 1967, regina del mondo editoriale francese, nel suo ultimo romanzo tradotto in più di 25 lingue ci mostra la sua personale visione dei rapporti umani, in cui lo champagne sembra essere il miglior rimedio per vivere felici. La sua scrittura è sicuramente effervescente ed incisiva tanto che la scrittrice la paragona spesso a un gran millesimo di uno degli champagne a lei più cari, vale a dire il Dom Pèrignon e poi, ovviamente, il Crystal di Louis Roederer. Ho volutamente fatto riferimento ad una scrittrice francese, visto che lo champagne nasce nel territorio transalpino, ma anche alla felicità. A volte analizzo la mia vita e cerco di capire quando sono felice o sono stato felice, oppure più semplicemente cos'è per me la felicità. La risposta non è semplice nè tantomeno può essere banalizzata. Di due cose sono certo: la prima, è che i momenti di felicità sono veramente pochi, di brevi attimi e a volte puramente illusori; la seconda, è la seguente: quando bevo una flute di champagne, mi sento felice.

Parlare di champagne e del fascino che aleggia su questo vino non è facile e presumo che si possano versare fiumi di inchiostro senza scrivere la parola fine su un vino che non smette mai di donarci ad ogni sorso sensazioni sempre nuove e mutevoli nel tempo. 

Di certo, possiamo dire con certezza che lo champagne è il vino più conosciuto, quello che attraversa tutti i ceti sociali, è estremo, è personale, è versatile ma soprattutto è passionale.

E' il più conosciuto perché tutti, almeno una volta nella vita ,(anche quelli che si professano astemi) ne hanno bevuto un bicchiere, a differenza di altri vini altisonanti che rimangono nel novero degli appassionati. Molto probabilmente il fatto che lo si accosti alle feste o comunque a qualcosa di gioioso ha sicuramente influito su questa prerogativa.

Attraversa tutti i ceti sociali, nel senso che anche il normale consumatore di vino ha la possibilità di godersi una bottiglia. L'unica differenza (sostanziale) è che per taluni facoltosi può diventare una piacevole abitudine.

E' un vino sicuramente estremo in quanto nasce in luoghi climaticamente ostili, siti nelle vicinanze del 50° parallelo, oltre il quale la coltivazione della vite diventa impossibile.

E' molto più personale rispetto ad altri vini in quanto, per lo chef de cave (capo cantiniere), assemblare le cuvèè dei tre vitigni principali, ossia, pinot noir, pinot meunier e chardonnay diventa operazione delicatissima e di estrema sensibilizzazione enologica.

E' versatile per il semplice fatto che ognuno di noi, il più delle volte sbagliando, lo abbina ad una infinità di cibi pensando di aver sempre e comunque azzeccato l'alchimia culinaria.

Ed infine, sfido chiunque a confutare il fatto che lo champagne non sia un vino passionale. Non solo ha fatto le fortune cinematografiche di James Bond (come dimenticare il suo Bollinger) e di tutti gli amanti in generale, ma chi non ha mai sognato una notte magica in compagnia della propria amata e di un'ottima bottiglia di champagne?!! 

Forse è per tutte queste ragioni che a margine del nostro ultimo viaggio a Bordeaux e dintorni, abbiamo fortemente meditato di inoltrarci nel 2011 in quella terra magica, che ha nella città di Reims, il caposaldo della magnificenza enologica del mondo delle bollicine.

A dire il vero una capatina l'avevamo già fatta nel lontano 2006 e precisamente nella Cote de Bar universalmente conosciuta come Aube, prendendo nome dal fiume che l'attraversa. La particolarità di questa zona è che si trova all'estremo sud della Champagne ad oltre 100 km da Reims e la rendono climaticamente più simile alla Borgogna. In quell'occasione avevamo visitato una piccola Maison, i Drappier, dotati di champagne dall'ottimo rapporto qualità/prezzo.

Come ogni anno, i preparativi propedeutici alla spedizione sono stati effettuati con scrupolo e meticolosità e per taluni versi l'organizzazione logistica del viaggio è stata un po' più complicata, sia per l'individuazione degli hotels, sia nella scelta delle cantine da visitare, divise tra grandi maison (i negociant-manipoulant) e piccole maison (i recoltant-manipoulant). Ma andiamo con ordine.

Mai come quest'anno l'attesa è stata così spasmodica, forse perchè la nostra passione per il vino sta crescendo a dismisura o forse perchè il viaggio enologico è diventato un appuntamento imperdibile e dalle aspettative sempre maggiori, tanto da provocarci veri e propri momenti di stress da attesa. 

Devo dire che alcuni giorni prima della partenza, nel mio solito sonno agitato, veleggiava spesso e sovente la figura dell'abate Dom Perignon che, santamente, mi offriva una flute di champagne appena degorgiato o in alternativa il compare Dom Ruinart che mi spingeva a vendemmiare grappoli succosi di pinot noir e chardonnay. Il potere della mente gioca sovente brutti scherzi. 

I giorni precedenti la spedizione sono pieni di scaramanzie e di suppliche benevoli verso il tempo che troveremo a destinazione; grazie ad internet e ai modelli matematici di imprescindibile precisione apprendiamo con gioia che il periodo di nostra permanenza nella regione delle bollicine sarà attraversato da tempo decisamente soleggiato e con temperature al di sopra della media di periodo. Unico neo, un 'elevata escursione termica, con mattinate decisamente fredde alternate a pomeriggi assolati e con temperature di stampo estivo.

Il 19 aprile alle 5.30, puntuali come non mai, partiamo alla conquista della Champagne a bordo della Suzuki Gran Vitara di Paolo doverosamente preparata. Ci attende un percorso di 880 km, con destinazione Dizy, piccola cittadina alle porte della più rinomata Epernay, sede, tra l'altro, di celeberrime Maisons, quali Moet-Chandon e Perrier-Jouet.

Sia per spezzare la monotonia del viaggio, sia per approfittare di un cambio di guida, faremo tappa intermedia, dopo 570 km. in Borgogna e precisamente a Vosne Romanèe luogo natio del famosissimo Romanèe-Conti, uno dei vini rossi più celebrati nel mondo enologico.

Alle 11.30 parcheggiamo l’auto all'entrata del Domaine Renè Cacheux et Fils, azienda vinicola già sperimentata nel nostro primo viaggio risalente al 2006, dove approfitteremo per degustare ed acquistare qualche bottiglia di Vosne-Romanèe non limitandoci nell'assaggio del cru "Les Suchots", ma spingendoci anche verso il "Le Baux Monts" e poi per finire al Chambolle-Musigny, un vino che, nella precedente visita avevamo tralasciato. Ci accoglie come nel 2006 il figlio Gerald, col quale avevo intrattenuto corrispondenza mail, che con sapiente maestria ci invita a "farci la bocca" con l'assaggio di un Bourgogne Aligotè, vino bianco ottenuto da omonimo vitigno, fresco e fruttato, ideale quasi esclusivamente come aperitivo, ma tutto sommato niente di particolare. Proseguiamo con i due cru di Vosne Romanèe, che all'assaggio si mostrano come un dejà-vous, nel senso che riportano alla mente bellissime sensazioni rimaste inalterate nel tempo di un vino rosso vermiglio con varie nuance di rubino, con sentori di frutta matura su un fondo speziato e con un bouquet di more e mirtilli. Il palato vellutato ed in bocca un giusto equilibrio tannico mettono a fuoco tutta la valenza e le potenzialità di quel grande vitigno che è il pinot noir. La persistenza aromatica, lunga, specialmente nel Suchots, mette in risalto l'austerità di un vino ancora così giovane (annate degustate 2006/2007).

Il Chambolle Musigny, non incontra appieno il nostro gusto, forse perchè ci troviamo di fronte al vino più "femminile" di tutta la Cote de Nuits; di sicuro un vino elegantissimo e dai profumi sia di piccola frutta rossa ma anche di violetta di campo, forse con una struttura più fragile rispetto a quanto degustato in precedenza.

Ci congediamo dal Domaine Cacheux con un discreto bottino di bottiglie che rappresentano un antipasto, a corollario di un lauto pranzo che ci accingiamo a pregustare nella terra dei fasti della belle-epoque e con la consapevolezza che ritorneremo in questa santa terra vinicola con più calma e con un bagaglio di esperienze maggiore rispetto alla nostra prima visita.

E' ora di pranzo, ma prima di mettere "le gambe sotto il tavolo" non possiamo rinunciare a fare una capatina al Sancta-Sanctorum di tutta la Borgogna, ovvero il vigneto di Romanèe-Conti, luogo mitico, meta di pellegrinaggi enologici da tutto il mondo. Sono passati 5 anni dalla prima volta, ma come provetti rabdomanti siamo calamitati dal vigneto e senza l'ausilio del navigatore raggiungiamo incantati la meta ed inebriato da estremismo alcolico, bacio la lastra di cemento riportante il nome del vigneto. Siamo strafelici, il sole è alto nel cielo, l'aria è fresca e tersa; il tempo di qualche pacca sulle spalle, di un paio di fotografie a suggellare il momento e via sulla strada maestra verso la meta finale di giornata, non prima di un sano rifornimento.

Ci riportiamo con l'autovettura sulla D74, la strada che taglia in due la Borgogna e che nel tempo è per noi diventata simile alla più famosa californiana Route 66 che, tra l'altro, abbiamo avuto la fortuna di percorrere sul finire degli anni '90. Ci fermiamo al ristorante "La toute petite Auberge", caratteristico, dalle ampie vetrate, che ci danno la possibilità di vedere un giardino esterno ben curato nel quale fa bella mostra di sè una vasca contenente una miriade di pesci rossi. E' il classico ristorante, meta di colazioni di lavoro; ci rifocilliamo con una tipica salade francese intrisa di gamberetti ed altre prelibatezze di mare, unicamente acqua Sanpellegrino ed un caffè espresso per tenerci vigili e per corroborare la digestione. Ci aspettano altri 307 km. prima di raggiungere la meta.

Il viaggio è abbastanza rilassante, poco traffico autostradale e tempo sempre clemente. A poco a poco invadiamo il territorio della Champagne che si apre ai nostri occhi come una fertile regione agricola dove enormi campi coltivati e ampie zone a verde la fanno da padrone, intervallate da morbide colline, che sembrano muoversi lievemente come onde in un mare di tranquillità. Caratteristiche le coltivazioni di colza che danno cromaticamente (giallo) un effetto luminosissimo. In alcuni tratti, il paesaggio è disseminato di pale eoliche che viste all'orizzonte, a mano a mano che si avvicinano, incutono un po' di timore, sembrando dei robots pronti a risucchiarti.

L'attesa è molto presente e l'avvicinarsi alla meta ci rende sempre più carichi di aspettative.

All'uscita 17 dell'autostrada, direzione Epernay, ci immettiamo sulla D3 che nel giro di una ventina di chilometri ci porta a destinazione, a Dizy e precisamente all'Hotel "Campanile Epernay" punto di partenza delle nostre escursioni in terra di Champagne. E' un hotel situato a livello di viabilità in un punto veramente strategico, in quanto ti permette di essere nel giro di una ventina di minuti nelle zone vinicole che contano. Una scelta veramente azzeccata. Notiamo, con piacere, che a fianco della struttura alberghiera ci sono dei vigneti di proprietà Jacquesson ed inevitabilmente ci sentiamo immersi nella giusta atmosfera. Riceviamo le chiavi alla reception e con celerità ci avviamo alla nostra camera tripla. La struttura è buona, unico neo le dimensioni della camera veramente contenute e solo alcuni inevitabili accorgimenti logistici ci permettono di sistemarci a dovere per le giornate che dovremo trascorrere, sino alla nostra partenza verso casa. Sono passate le 17.00, il tempo di farci una doccia rigenerante prima di rimetterci in auto con destinazione Epernay, in visita alla cittadina vinicola, seconda solo a Reims per importanza enologica.

Epernay dista solo 2,5 km. dal nostro quartier generale ed il passaggio di una rotonda ben curata con posto al centro un enorme tappo di champagne ci galvanizza e ci sprona a ricercare un parcheggio per meglio addentrarci tra le vie di questa rinomata località. L'aria è effervescente come le bollicine di una bottiglia appena stappata e la nostra sete di conoscenza si placherà solo alla vista di qualche celebre Maison. Ci dirigiamo verso il centre de ville (centro città) e precisamente alla ricerca dell'Avenue de Champagne. Dopo aver lasciato l'auto in un enorme parcheggio all'aperto ci ritroviamo all'inizio di quella che definirei una piccola Champs Elisèe, che si differenzia da quella parigina unicamente dal fatto che i negozi e le boutiques lasciano il posto a suntuosissimi complessi immobiliari costituiti da splendide forme architettoniche, dove trovano dimora alcune tra le più rinomate Maisons di tutta la Champagne. Una su tutte Moet-Chandon. Ed è proprio la detentrice del celeberrimo Dom Perignon nonchè appartenente al gruppo LVHM (Louis Vuitton-Henessy-Moet-Chandon) che si apre per prima ai nostri meravigliati sguardi. La nostra prima preoccupazione è la ricerca, all'interno della superba struttura, che a livello architettonico è un misto di nuovo ed antico, della statua del cantiniere dell'abbazia di Hautvillers, il fantomatico Dom Pierre Perignon, artefice secondo la storia delle fortune di questo incredibile vino. La troviamo. Il cancello finemente lavorato, accanto al quale a caratteri cubitali di color oro compare la scritta della Maison, è aperto. Con un iniziale passo felpato entriamo timidamente all'interno; sono passate le 18 e30 e non scorgiamo anima viva. Con più coraggio ci precipitiamo ai piedi della statua e con il classico atteggiamento turistico, stile nipponico, ci facciamo un bel po' di fotografie per immortalare il momento; un altro luogo mitico visitato, un altro tassello da spuntare e da inserire nel nostro curriculum enologico.

Entrata a Moet & Chandon


Non ci fermiamo, andiamo oltre e dopo la proprietà di Moet-Chandon percorsa per almeno 150 metri, ci imbattiamo in un'altra grande ovvero Perrier-Jouet, stessa magnificenza e stesso chilometraggio. Ci guardiamo un po' sbalorditi, ripensando che solo nel territorio bordolese avevamo ammirato simili strutture quali ad esempio Chateau Margaux o Chateau Palmer solo per citarne alcune. Dobbiamo pensare che sul prezzo di una bottiglia prodotta da queste maisons influisca anche il costo del mantenimento immobiliare!!



L'avenue è un susseguirsi di aziende e nonostante la stanchezza del viaggio incominci a farsi sentire, la percorriamo in lungo e in largo e Paolo, fotografo ufficiale della spedizione lavora alacremente, incurante del viavai serale delle autovetture che percorrono la strada a velocità sostenuta. Encomiabile.

Felici, stanchi, ma soprattutto affamati, ci dirigiamo, sempre a piedi, verso la piazza principale della cittadina alla ricerca di un ristorante che ritempri le nostre forze. A livello culinario, ci accorgiamo subito che in Champagne ci sia uno scarso uso della carne di manzo e soprattutto come ci ha spiegato il nostro "chef" Mario, in questo luogo venga sbagliato il taglio della carne che si presenta il più delle volte poco morbida e allo stesso tempo priva di gusto. Le carni più usate sono il maiale, il pollo, l'agnello e talune salsicce dette "andouillettes" visivamente accattivanti ma preparate con trippa di maiale e quindi verosimilmente un po' indigeste. La regione è ricca di piatti a base di pesce di fiume; non dimentichiamoci che a pochi chilometri scorre la Marna, un fiume con una buona portata d'acqua, artefice di un particolare microclima ideale per la coltivazione di pinot noir nella zona denominata Vallèe de la Marne. Il pesce più consumato è la trota, fritta nel burro con prosciutto e una salsa di crema fresca. A livello di entrèe (il nostro antipasto) famoso è lo jambon des Ardennes, prosciutto crudo affumicato accompagnato di solito con dei sottaceti e per quanto concerne i formaggi il migliore è il Chaource, di latte vaccino, a breve stagionatura con crosta bianca, commestibile. I dessert (che personalmente non amo e non mangio) sono a detta dei miei compari alla stregua di tutti gli altri strabilianti dolci assaggiati nei tanti viaggi in terra transalpina.

Ci mangiamo un'entrecote gustosa ma un po' duretta con una montagna di patatine fritte e un paio di fresche birre. 

Dopo cena, seguendo l'istinto di Paolo ci dirigiamo verso la cittadina di Ay. Sono all'incirca le 21.00, ma a queste latitudini c'è ancora luce e ne approfittiamo per addentraci sulle colline raggiungendo un punto strategico che domini l'intera vallata, logicamente attorniati da una miriade di vigneti. L'aria è molto fredda, ci saranno non più di 8 gradi, ma la visione è straordinaria e le fotografie scattate da Paolo sono qualcosa di entusiasmante. 

Vigneti ad Ay al tramonto


Il freddo ha sensibilizzato le nostre vie urinarie e con fierezza concimo un paio di tralci di proprietà Moet-Chandon. Che soddisfazione!!. Ritrovarci a quell'ora in mezzo ai vigneti mentre la luce del giorno calava ed il sole faceva capolino,  lasciando la scena alle tenebre è stato veramente emozionante, alla stregua di molte altre visioni indimenticabili che la mente in un breve lasso di tempo ha ripercorso con un misto di nostalgica malinconia. Torniamo alla base e prima di coricarci passiamo un po' di tempo a conversare, seduti ad un tavolo antistante il ristorante dell'hotel, in compagnia di un buon sigaro e di una fiaschetta di cognac. 

Una bellissima giornata che speriamo sia il preludio per poterci addentrare nei giorni successivi nel cuore di questa terra estremamente affascinante. La notte, come tutte le prime notti lontani da casa è sempre un po' agitata, anche se nella fattispecie l'agitazione è alimentata dal vociare di una compagnia di alcuni ragazzotti stranieri un po' troppo esuberanti. 

La mattina seguente, sveglia di buon'ora. L'aria è veramente pungente, ma per fortuna la giornata è bella ed un tiepido sole, che sembra anch’esso appena sveglio, inizia a scaldarci lentamente. La solita succulente colazione e poi on the road pronti per iniziare quella che solitamente rappresenta la giornata cruciale di tutti i nostri viaggi.

La destinazione iniziale è Reims, capoluogo di regione, rinomata per lo champagne ma anche per la sua cattedrale in stile gotico.

La Cattedrale

Per arrivarci occorrono circa 20 minuti di strada; una strada particolare, in quanto una volta attraversata Epernay incontriamo solo vigneti intervallati a sterminati campi coltivati. Una lunga strada dritta che per alcuni versi sembra essere percorsa nel vuoto ed in lontananza vediamo lentamente spuntare all'orizzonte quella che rappresenterà la seconda tappa fondamentale del nostro viaggio. Reims è una città piuttosto grande ma il traffico non è troppo caotico. Ci dirigiamo verso Place du Cardinal Lucon alla ricerca di una bottiglia di Champagne Krug, etichetta preferita da Paolo; sono c.ca le 9.15 ed i negozi sono ancora chiusi. Facciamo quattro passi in centro, il tempo necessario per intravedere la maestosità della cattedrale e poi ci rimettiamo in auto alla volta di Rue de Crayères dove alle ore 10.00 abbiamo un appuntamento con la Maison Ruinart, una delle più antiche della regione dotata di cantine favolose. La visita è stata prenotata due mesi e mezzo prima con pagamento anticipato al costo di 26 euro a persona. 

Stemma della Maison Ruinart

Rue de Crayères è molto simile all'Avenue de Champagne di Epernay e prima di entrare a Ruinart, ammiriamo dall'esterno la Maison Pommery, enorme, con un'entrata spettacolare ed un castello in mezzo alla proprietà veramente da fiaba. Ma ritorniamo a Ruinart.

La storia racconta che Dom Ruinart era per così dire il "compare" del più celebre Dom Perignon ed entrambi erano monaci dell'abbazia di Hautvillers. Ebbe il merito di aiutare il confratello nel valorizzare lo champagne e nell'individuare la giusta bottiglia che potesse resistere alla pressione dell'anidride carbonica sviluppata dalla seconda fermentazione, 

All'entrata, veniamo registrati, invitati ad entrare e a parcheggiare l'auto. Scendiamo e un po' emozionati ci dirigiamo verso il punto accoglienza clienti, quando in lontananza vediamo aprirsi un enorme portone sul quale campeggia lo stemma della Maison e dal quale esce una bella donna dalle movenze angeliche. Ben presto, in un italiano quasi perfetto, ci invita a seguirla precisandoci che per almeno un'ora sarà la nostra guida all'interno della Maison. Laetitia Masson, questo è il suo nome, oltre ad incarnare tutto lo charme delle donne francesi, molto accattivante, si rivelerà ben presto una persona molto professionale amante del proprio lavoro ed indiscutibilmente preparata. E' una giornata molto particolare, in quanto la Maison è disseminata di operatori tesi alla costruzione del nuovo sito internet con relativo viaggio virtuale delle cantine. 

L'ascensore che dovrebbe portarci al punto d'inizio del nostro viaggio nel labirinto disseminato di bottiglie è in fase di restauro: per questo motivo scenderemo nella cave percorrendo 139 scalini che ci porteranno ad una profondità di 36 metri sotto terra. La temperatura è di c.ca 10 gradi centigradi e l'umidità è costante. La cantina (in questo caso definizione altamente approssimativa) è scavata completamente nelle gessaie di epoca romana; le pareti, completamente bianche, al tatto sono umide ed all'olfatto si sente il classico odore di muffa.

Scalinata che porta alla cave Ruinart

 Iniziamo e bombardiamo di domande la povera Laetitia che con nonchalance e savoir-faire risponde ad ogni nostro quesito. 

Lo champagne Ruinart sans annèè è una cuvèè dei tre classici vitigni insiti nel disciplinare ovvero il pinot noir, il pinot meunier e lo chardonnay. Il pinot noir è il vitigno che da struttura, il meunier è il meno resistente all'invecchiamento ed è senza dubbio il più ruffiano, quello con più freschezza, mentre lo chardonnay è il vitigno che conferisce allo champagne finezza, eleganza e longevità. 

Non ci è dato sapere quante bottiglie riposino in queste cantine lunghe addirittura 4 km, ma presumiamo almeno qualche milione.

L'invecchiamento a Ruinart è molto lungo e nelle cave ci sono da 3 a 15 annate di vino. Ruinart, in Francia, è conosciuto come champagne di boutique o se vogliamo d'elite in quanto non compare mai nella grande distribuzione. 

Attraverso il percorso che si snoda nelle cantine, ci imbattiamo in una miriade di bottiglie di Blanc de Blancs (chardonnay in purezza) dal vetro trasparente, che lo chef de cave protegge comunque dalla luce avvolgendole con pellicola scura; il vetro trasparente per il Blanc de Blancs è un classico, legato esclusivamente ad una mera operazione di marketing.

Più avanti incontriamo le giropalette ovvero quelle macchine che in automatico girano le bottiglie fino a coricarle a testa in giù per far defluire le fecce verso il collo, che verranno poi espulse con il degorgement. Questo movimento detto remuage viene ancora effettuato manualmente a Ruinart per il 5% della produzione, esclusivamente per mantenere la tradizione ed in parte anche per analizzare le eventuali differenze che potrebbero riscontrarsi rispetto al movimento meccanizzato. Più in là una parete enorme e strabiliante dove vediamo allineate ed impignate con maestria maniacale ben 8580 bottiglie. Uno spettacolo!!! 

Laetitia ci spiega che, secondo quanto impartito dal disciplinare francese, lo champagne, una volta effettuata la seconda fermentazione in bottiglia deve invecchiare almeno 15 mesi per i sans annèe e 3 anni per i millesimati; nella Maison l'invecchiamento per i sans annèe è di 3 anni mentre per i millesimati si va dai 7 ai 10 anni. Tra l'altro Ruinart ha la peculiarità di utilizzare nella cuvèe dei sans annèe la percentuale più alta di chardonnay di tutta la regione. Ruinart è definita la casa dello chardonnay, dove in alcuni assemblaggi arriva sino a quote del 70%. 


I lieviti utlizzati nelle fermentazioni sono selezionati e provengono, sempre per legge, esclusivamente dalla regione della Champagne. 

La fermentazione in bottiglia dura mediamente 2 mesi per via della temperatura che come detto non supera mai i 10 gradi e poi il vino, rimarrà sui lieviti il tempo necessario per lo sviluppo degli aromi e dei profumi terziari.

I punti di forza della Maison sono il Dom Ruinart Blanc de Blancs ed il Dom Ruinart Rosè che, a livello fermentativo, si avvicinano molto allo stile utilizzato in Borgogna, più lunga per lo champagne base chardonnay, con utilizzo di batonnage e follature e temperature fermentative a 18 gradi per il rosè. Rimango sbalordito nell'apprendere che alla Maison utilizzino la fermentazione malolattica, ovvero la trasformazione dell'acido malico in acido lattico con l'intento di dare più morbidezza al vino, togliendogli un eccesso di acidità. Di norma è un'operazione che viene effettuata quasi esclusivamente nei vini rossi. Laetitia ci precisa che i vini di base, quelli della prima fermentazione, sono dotati di eccessiva acidità pronunciata e sgraziante. La malolattica diventa indispensabile.

Laetitia, per alcuni versi stravolge alcune delle mie annose convinzioni. Ho sempre prediletto lo champagne millesimato ovvero quello prodotto esclusivamente con uve di una sola annata, ma come dice la nostra guida il millesimato è un regalo della natura, mentre un sans annèe con il suo assemblaggio esprime il vero talento dello chef de cave. Per i sans annèe, a Ruinart, si usa la vendemmia in corso, per la freschezza, più altre due annate a scelta per l'invecchiamento, 

Per quanto attiene i millesimi, Laetitia ha avuto la fortuna di degustare recentemente, nella Maison, uno champagne Blanc de Blancs vintage 1971 e le sensazioni sono state incredibili; si è trovata di fronte ad un vino di quarant'anni dotato di una freschezza e di una acidità perfetta come fosse stato appena confezionato. Ci ribadisce il ruolo che gioca lo chardonnay nell'invecchiamento risultando di vitale importanza. Un'esperienza indimenticabile!.


Uno chardonnay troppo giovane non è mai buono, troppo acido; come dice Laetitia non c'è interesse nella conservazione dei vini non millesimati. I sans annèe devono essere bevuti nell'arco di qualche anno per la loro freschezza e serbevolezza, mentre di solito i vintage, meglio se Blanc de Blancs sono adatti a un lungo invecchiamento. Ci si scontra poi con le cantine di casa nostra che non sono minimamente paragonabili a quelle dei produttori di champagne, dove anche un millesimato non potrebbe resistere troppo a lungo. A volte però ci possiamo imbattere in qualche piacevole sorpresa come ad esempio la degustazione di uno champagne della Maison Pascal Poudras vintage 1991, leggermente scarico ma ancora dai profumi accesi e da una bocca sostenuta, riposato per anni nella mia modesta cantina. Forse i miracoli esistono ancora!!

Il viaggio continua e ben presto il nostro angelo ci conduce in una delle 24 crayères di origine romana, proclamata, per la sua particolarità, patrimonio universale dell'umanità.

Apertura di areazione di una crayeres della Maison Ruinart



 A prescindere dall'altezza, almeno 15 metri, ha nella sommità un'apertura circolare creata ad arte per agevolare, a seconda delle stagioni, un canale di aereazione anticipando per taluni versi il processo moderno dell'aria condizionata. Quando i romani invasero la regione, tra il III° e IV° secolo d.C. utilizzarano le gessaie disseminate nel territorio per costruire la città di Reims. In buona sostanza iniziavano a scavare e man mano che scendevano di livello, inserivano nello strato roccioso dei cuni di legno che, causa l'umidità, si gonfiavano provocando la rottura di enormi blocchi di gesso. Portati in superficie, venivano fatti asciugare nel giro di qualche settimana ed utilizzati a livello edile. Solo a partire dal XVII° secolo d.C. il materiale gessoso è stato definitivamente abbandonato. A 36 metri di profondità, il gesso, oltre ad essere umido, al tatto è molto morbido tantè che quasi si stacca dalle pareti. 

Il viaggio prosegue e sopra ad una porta a forma di arco troviamo lo stemma della famiglia Ruinart. Gli ultimi discendenti hanno una piccola partecipazione nella Maison ormai di proprietà del gruppo LVHM; oltrepassata tale porta ci immettiamo in un'altra crayères utilizzata nel medioevo per l'approvvigionamento di gesso e riportante su alcune pareti veri e propri graffiti storici. Troviamo la scritta "pecheur"= pescatore datata 1882 e più in là un sole, simbolo del re Luigi XIV° con una piccola scala. Questa sala è colma di bottiglie per l'invecchiamento alle quali viene posto il classico tappo a corona.


Particolari ed accatastate con dovizia certosina sono una miriade di bottiglie con tappo di sughero e spago e con tappo di sughero e metallo stile tappo della birra che individuano quelle bottiglie che non saranno mai messe sul mercato ma faranno parte della cantina personale della Maison, quella che potremmo definire "la Cave du Trèsor". Talvolta il tappo di sughero non resiste per tutto l'invecchiamento e dopo 25 anni c'è l'assoluta esigenza di sostituirlo. Nella cave ci sono bottiglie che riposano da 50/60 anni ancora sui lieviti. Impressionante!!!

Laetitia ci indica alcune delle annate migliori dei vintage della Maison, ovvero 1964/71/90/96/98. I prossimi millesimi che andranno sul mercato saranno il Blanc de Blancs 1998 ed il Rosè 2002 in un'annata definita in Champagne eccezionale. Relativamente ai millesimi, la Maison Ruinart non usa compromessi e non esce sul mercato se l'annata non ha in sè tutte quelle caratteristiche necessarie per dimostrarsi all'altezza, tanto è vero che negli ultimi 100 anni sono stati prodotti solo 21 millesimi. Per il Blanc de Blancs il primo prodotto porta l'annata 1959, mentre per il rosè si deve ricercare nel 1976. 

La conversazione è talmente interessante ed il fascino di Laetitia così intrigante che staremmo ore ed ore ad ascoltarla, assorti in ossequioso silenzio. Il tempo vola, è passata più di un'ora ed è giunto il momento di recarci nella sala di degustazione, non prima di aver ripercorso in salita i 139 gradini precedenti. Molto amabilmente ci invita ad accomodarci in una bellissima sala ottocentesca nella quale troviamo una serie di quadri raffiguranti gran parte degli antenati degli attuali Ruinart. Al centro due divani moderni ed un tavolino in cristallo finemente lavorato. 

In attesa degustazione Maison Ruinart

Ci sediamo ed attendiamo con impazienza l'arrivo della nostra guida che ci condurrà verso un'esperienza gustativa assolutamente indimenticabile. Stappa, con dolcezza e maestria un Dom Ruinart Blanc de Blancs 1998 che si apre con una magnifica presa di spuma ed un perlage finissimo e persistente; ascoltiamo il vino e le bollicine, che non provocano rumore, ma una musica celestiale che ti ammalia e rapisce come il canto delle sirene. Al naso frutta bianca esotica e in bocca molto suadente con note burrose e cremose di cioccolato bianco. Grande persistenza aromatica. Questo champagne esprime una finezza ed una mineralità preludio di una freschezza e di una setosità incontrata in pochissimi altri champagne. 

Come non fare il bis!. E' un sogno. Ma non è finita qui; Laetitia che ci ha reputati grandi amanti enologici e per certi versi puri intenditori, ci lascia a bocca aperta quando ci regala l'assaggio del Dom Ruinart Rosè 1996. E' difficile trovare le parole giuste affinchè si possa comprendere le sensazioni incredibili provate nella degustazione di questo fantastico champagne. Ad iniziare dal colore, ramato come mai visto prima e dai sentori che spaziano in un incredibile mix di frutta a bacca bianca e rossa e con una mineralità ferrosa, ed in bocca tamarindo, rosa e viola per defluire verso ulteriori assaggi su note di nocciola e cioccolato bianco, per finire su note speziate, su tutte il pepe bianco e con una persistenza aromatica infinitamente lunga. Bevi e ne vorresti sempre di più perchè ad ogni assaggio le sensazioni cambiano e la voglia di bollicina pervade tutti i sensi portandoti verso un oblio alcolico che non vorresti finisca mai!!!

Laetitia, la  nostra musa e fine degustatrice


In questo decennio ho avuto la fortuna di conoscere un produttore piemontese, vulcanico, innovatore e tradizionale allo stesso tempo, Walter Massa, colui che ha letteralmente riportato in vita il Timorasso, un vino bianco di pregevolissima fattura dimenticato nel tempo. Ricordo che, conversando, strabiliato dalla degustazione, gli chiesi come mai non avesse mai cercato di spumantizzare un bianco così stupefacente; la risposta è stata come una liberazione. Le sue parole risuonano oggi più che mai come una grande verità: " Io gioco solo in serie A! Spumantizzare è prerogativa di chi lo sa fare, per capirci lasciamolo ai francesi!!!" 

Con grande soddisfazione, con i più vivi ringraziamenti ed un meritato bacio d'addio, ci congediamo dalla bella e brava Laetitia e dalla Maison Ruinart che ci ha dato la possibilità di scoprire delle cantine fantastiche e non ultimo di poter effettuare una degustazione che resterà scolpita nella memoria. Affascinati dal Dom Ruinart Rosè, ci facciamo indicare dove potremmo acquistarlo visto che l'azienda non effettua vendite dirette al pubblico. Ci viene indicata l'enoteca "Le Parvis" situata di fronte alla magnifica cattedrale di Reims. L'euforia ci ha colto di sorpresa e in men che non si dica siamo all'interno dell'enoteca, alla ricerca della bottiglia, che in quel preciso istante rappresenta l'elisir di giovinezza, la coppa del Santo Graal, che ad ogni costo deve essere nostra. E parlando di costo spendiamo la bellezza di 185 euro (la spesa più alta effettuata per una bottiglia da quando è sbocciata la nostra passione per l'enologia) per poterla stringere tra le mani come un vero e proprio tesoro. E come tutti i tesori sarà custodita gelosamente nella cantinetta refrigerante della nostra cantina in attesa del giorno propizio (fra diversi anni) per poterla stappare amabilmente e degustare con doverosa devozione.

Usciamo e ne approfittiamo per ammirare estasiati l'esterno della cattedrale di Reims; è qualcosa di meraviglioso, è l'emblema della geometria sacra, di quello stile gotico che inevitabilmente porta la mente ai templari e a tutti i misteri esoterici legati anche alle costruzioni delle cattedrali. Per taluni versi assomiglia alla più celebre cattedrale di Notre Dame a Parigi; non possiamo fare altro che rimirarla in contemplazione alternata da alcuni ragionamenti legati al fatto che attualmente non esistano persone su questa terra che siano in possesso di quella maestria e di quell'arte che culminò nel suo splendore agli inizi del XIV° secolo. La cattedrale è un gioiello architettonico del XIII° secolo; la facciata, dominata da un rosone imponente, le numerosissime statue racchiuse nelle nicchie all'esterno della chiesa ma soprattutto le superbe vetrate, fanno della cattedrale un edificio unico nel suo genere. L'interno, caratterizzato da una lunga serie di alti pilastri sormontati da archi acuti e da volte, è abbastanza spoglio. E' una cattedrale, che con la sua maestosità incute un certo timore ma allo stesso tempo ti affascina e ti pervade con quell'alone magico e di mistero imperscrutabile.

Il fatto che gran parte dei re volle farsi incoronare qui, la dice lunga sul ruolo di catalizzatore che ha emanato questa struttura nel corso dei secoli. 



Siamo assetati e siccome il sole è alto nel cielo e quindi è mezzogiorno inoltrato, dopo aver fatto quattro passi attorno alla cattedrale, ci infiliamo in un bistrot attiguo per rifocillarci e per prepararci per il prossimo appuntamento che ci vedrà ospiti, nel pomeriggio, della prestigiosa Maison Philipponnat. La Maison può essere considerata nel novero delle aziende medio grandi della champagne e a livello storico ne costituisce una pietra miliare. Recentemente sono stati trovati reperti ufficiali che stabiliscono che i Philipponnat erano già viticultori a Mareuil-sur Ay, situata a sud-est di Reims, dal lontano 1522; da un centinaio di anni champagnisti. La loro fama è legata principalmente ad un vigneto particolare, il "Clos des Goisses", un cru rinomato, non solo per le bottiglie pregiate che se ne ricavano, ma perchè è il vigneto con la maggior pendenza di tutta la regione ed inoltre perchè è l'unico che viene vendemmiato ogni anno. Attiguo al Clos, attraversata la strada maestra, scorre la Marna, artefice di un particolare microclima che favorisce lo sviluppo delle uve, che mediamente, hanno un tenore alcolico di 1 grado superiore a tutti gli altri champagne. Arrivare alla sommità del vigneto è realmente faticoso; ho contato oltre 100 scalini. Il panorama che si presenta è senza dubbio mozzafiato e ti permette di seguire il corso del fiume fino a perdita d'occhio. Penso anche che vendemmiare il Clos des Goisses sia una fatica immane.

La Maison dista 32 km da Reims. In circa 40 minuti si arriva a destinazione in Rue du Pont al 13. Entriamo ed attendiamo pazientemente l'arrivo dei padroni di casa. Sono le 15.00, siamo in perfetto orario e fa veramente caldo. 

Dopo cinque minuti di attesa compare ai nostri occhi Nicoletta de Nicolo, ragazza mora, carina e di chiare origini italiane, che, per amore si è trasferita in Francia dal Veneto. Siamo per l'ennesima volta fortunati, in quanto possiamo parlare più celermente ed allo stesso tempo potremo meglio comprendere la Maison confortati dal suono della madrelingua. Non è molto stupita di vedere degli italiani anche se non gli capita spessissimo e dopo un' iniziale prevenzione nei nostri confronti, pensando forse di trovarsi di fronte a 3 sprovveduti, si apre e si scioglie nel rispondere ad alcune nostre domande tecniche. Notiamo subito una differenza sostanziale rispetto a Ruinart, ovvero nella Maison non viene svolta fermentazione malolattica, ma si preferisce mantenere un'acidità un po' più spiccata che riscontreremo in seguito in alcune degustazioni. La cantina è lunga 3,5 km e siamo ad una profondità di 22 metri. 

Immagini della cave Philipponnat


Nella Maison viene svolta la vinificazione, mentre la fase di imbottigliamento ed etichettatura viene effettuata altrove. Per la fermentazione vengono utilizzati tini e barrique provenienti dalla Borgogna. In cantina, l'annata più vecchia conservata nella collezione privata della Maison è quella del 1947. Non cè più traccia delle annate precedenti, in quanto, al tempo della seconda guerra mondiale i nazisti occuparono l'azienda facendo incetta di gran parte delle bottiglie custodite nei sotterranei. La visita è di circa mezz'ora e la cantina è molto curata, pulita e con un effetto luci molto particolare. Anche qui, notiamo un numero impressionante di bottiglie poste con notevole abilità in un equilibrio quasi innaturale.

Bottiglie in bella mostra alla Maison Philipponnat

Ben presto ci ritroviamo nella sala degustazione. La conversazione è piacevole, in quanto Nicoletta rimane meravigliata nell'apprendere i luoghi visitati nei nostri numerosi viaggi e nel dialogare condividiamo esperienze ed approfondiamo tematiche e vini di diversi territori. 

Senza esitazioni partiamo con gli assaggi dei seguenti champagne:

Philipponat Base

Royale Rèserve

Grand Blanc

Cuvèe 1522 Grand Cru

Clos des Goisses

Il base, che tra virgolette è un dosage zero, è uno champagne eslusivamente adatto come aperitivo ,dalla spiccata acidità, per certi versi leggermente fastidiosa, ma che comunque dà lo stile e l'impronta della Maison;

passiamo al Royale Rèserve (cuvèe dei 3 vitigni del disciplinare), dotato di un bel colore d'orato, di una bella presa di spuma e di un perlage si persistente ma leggermente grossolano. Al naso quasi esclusivamente sentori floreali e di crosta di pane, in bocca fruttato e con una discreta persistenza aromatica. Uno champagne che fa comunque la sua bella figura ed oserei dire che possa andare bene a tutto pasto.

Saliamo di un gradino e degustiamo il Grand Blanc, uno chardonnay in purezza che denota tutte le potenzialità del vitigno. Il colore è un po' più scarico rispetto al Royale, il perlage è nettamente migliorato, fine e persistente, al naso sentori floreali su note burrose tipiche dello chardonnay; l'attacco in bocca non è aggressivo, ma anzi è un'esplosione di freschezza, di estrema finezza, sostenuta da una cremosità e da una lunga persistenza aromatica. 

Passiamo alla cuvèe "1522" Grand Cru, un assemblaggio di pinot noir al 60% e un 40% di chardonnay. Lo champagne che mi ha più entusiasmato in quanto incarna la struttura del pinot noir e la finezza dello chardonnay, nonchè la sua propensione all'invecchiamento. il colore è il classico oro tenue con una notevole presa di spuma che si smaterializza immediatamente soppiantata da un perlage rapidissimo e molto fine. Al naso è un mix di sentori di fiori di campo e di frutta a bacca rossa; la bocca è notevole con un contrasto di frutta bianca surmaturata e per certi versi esotica soppiantata da note agrumate con un finale molto minerale. Lunga persistenza aromatica, ottima struttura, bocca pulita.

Lo champagne di punta, il "Clos des Goisses" (65% pinot noir-35% chardonnay) mi ha destato alcune perplessità, molto probabilmente è uno champagne troppo particolare ed impegnativo che mi è stato di difficile interpretazione. Forse l'eccessiva aspettativa, condizionata in parte dagli assaggi mattutini, mi ha completamente depistato. Il colore è comunque stupendo, un oro molto carico con una presa di spuma delicatissima ed un perlage estremamente fine; Il naso mi è parso un po' complicato con diversi sentori floreali e di frutta misti a note speziate di difficile definizione. In bocca si apre prepotentemente, forse fin troppo minerale e con un gusto un po' fuori dal comune, che, non ho mai riscontrato in altri champagne. Potrebbe essere questa la sua effettiva peculiarità.

Immagini del ripidissomo Clos des Goisses

Devo dire che il prezzo in cantina (120 euro) a mio parere sia un po' sopravvalutato, ma pensando solo alla fatica per vendemmiare, ci può anche stare. In buona sostanza facciamo incetta di bottiglie esclusivamente di Grand Blanc e di "1522". 

La visita alla Maison Philiponnat si è rivelata comunque un'ottima esperienza che ci ha posto innanzi ad un'azienda blasonata che sa interpretare in modo differente la propria visione dello champagne assecondando il gusto di diversi palati non stereotipati o comunque esclusivamente orientati su etichette più comuni. D'altra parte ci siamo confrontati anche con un diverso terroir dove comunque il pinot noir e lo chardonnay sono l'emblema di un connubio solido e sperimentato da generazioni di vigneron affidabili. 

Un ultimo scorcio esterno sull'architettura della Maison, alcuni minuti a crogiolarsi ad un sole dal vago sentore estivo, uno sguardo al maestoso Clos des Goisses e poi di nuovo on the road alla volta di Hautvillers per visitare l'abbazia del celeberrimo Dom Pèrignon e se saremo fortunati anche l'antica cantina dove nacque il primo vero champagne.

Hautvillers è un paesello che dista poco più di 9 km da Mareuil sur Ay , caratterizzato da carinissime abitazioni ben curate e da una piazzetta principale nella quale spicca un bistrot che all'ora del nostro arrivo vede al proprio esterno alcuni avventori sorseggiare amabilmente champagne, intenti a raccontarsi chissa quali storie. Parcheggiamo l'auto e a piedi ci dirigiamo all'entrata dell'abbazia. E' aperta, in quanto vediamo in lontananza alcuni turisti chiuderne il portone d'entrata. L'abbazia è di dimensioni molto contenute e all'interno, nei pressi dell'altare, una lastra pavimentale indica che in quel luogo dimorano le spoglie dell'abate Dom Pierre Pèrignon che tanto si prodigò per rendere fama ad un vino oramai conosciuto in tutto il mondo. Purtroppo non riusciamo a visitarne la cantina in quanto situata all'interno della proprietà dei monaci ed interdetta a visite turistiche.

In breve tempo,dopo lo scatto di alcune foto ricordo, ci rimettiamo in auto e ci dirigiamo verso la località di Chavot. Nel giro di un quarto d'ora, dopo la proverbiale indicazione di un abitante del luogo, ci ritroviamo nei pressi della chiesetta del Mont Felix. E' un punto collinare veramente magico , in quanto ottimale per un reportage fotografico, immersi completamente nei vigneti e con lo sguardo che si perde all'orizzonte su di una vallata interamente coltivata e dalle cromature, grazie alla bellissima giornata di sole, indescrivibili.

Abbiamo ancora tempo e quindi decidiamo di ritornare a Reims per visitare esternamente alcune delle Maisons più famose a livello internazionale. In sequenza ammiriamo G.H. Mumm, Louis Roederer, Taittinger, Jacquart e per finire ci dirigiamo in rue Coquebert 5 per visitare il mitico Krug. Con nostro stupore, la sede amministrativa della Maison è estremamente anonima; un cancello stile "entrata di una comune fabbrica" con al centro il marchio dell'azienda, neanche troppo in evidenza. 


Un po' delusi, e anche leggermente stanchi decidiamo di ritornare alla base per una doccia rigenerante. Siamo in giro dal mattino, le emozioni sono stante tante e con saggia decisione decidiamo di cenare all'hotel lasciando riposare anche l'auto con giusta ragione. 

Tralasciando la cena, non degna di nota, se non nell'infinita lungaggine nell'esserci servita, possiamo solo constatare che la giornata è trascorsa all'insegna della conoscenza e del buon umore, allietata da un clima veramente amico. Di sicuro è stata di buon auspicio per il proseguimento della giornata seguente che risulterà sul piano fisico e mentale ancora più impegnativa, con la visita delle Maisons artigianali site nelle tre zone specifiche della regione. 

La legge francese del 22 luglio 1927 ha determinato i criteri della denominazione "champagne", sia per il territorio sia per le uve utilizzate. Per quanto concerne le uve venne introdotta la scala dei Cru che, stabilito 100 come prezzo massimo, identifica il corrispondente prezzo di acquisto di 1kg. di uva per ciascuna zona, vale a dire che i Grand Crus possono fregiarsi di questo nome avendo valore 100, a scendere i Premiers Crus con valore tra 90 e 99 e i restanti marginali valutati tra 80 e 89. Per quanto concerne i territori, la regione della Champagne, a parte la già citata Cote de Bar situata all'estremo sud, ne individua tre con diverse caratteristiche, ovvero La Montagne de Reims, La Vallèe de la Marne e La Cote des Blancs.

La Montagne de Reims rappresenta il territorio più vasto con vigneti in netta maggioranza impiantati a pinot noir e pinot meunier, con terreni prevalentemente di origine gessosa e calcarea che danno origine a champagne con il frutto del pinot e con una accentuata mineralità. A seguire, la Vallèe de la Marne, attraversata dalla Marna, fiume di discreta portata, territorio in cui vengono quasi pariteticamente coltivati i 3 vitigni, con terreni formati da argilla e marne bianche e  con una bassa percentuale di gesso. In questa zona gli champagne sono caratterizzati da una elevata componente strutturale dei pinot e con una vinosità evidente.

Ultima, ma non ultima per importanza, La Cote des Blancs è coltivata quasi esclusivamente a chardonnay; qui, i terreni ritornano ad essere gessosi e calcarei. In questa zona vengono prodotti Blanc des Blancs minerali, agrumati, speziati, ma tutti con un comun denominatore ovvero la finezza e l'eleganza.

Sono queste le zone che ci apprestiamo a visitare e con esse tre aziende che definiremmo artigiane nella produzione delle bollicine francesi.

La mattina del 21 si apre ancora una volta all'insegna di un'aria fresca e pungente e di un sole che ha tutti i presupposti per rimanere costantemente alto nel cielo. Alle 9.00, puntuali, siamo già in auto direzione Chigny Les Roses , paesino a c.ca 17 km. da Dizy immerso nel cuore della Montagne de Reims, dove ci appresteremo ad effettuare la nostra prima visita dai coniugi Mazet in rue de Carrières 8. Ci accoglie la moglie, una donna di mezza età, la quale dopo alcune inevitabili formalità ci indica di aspettare il marito che ci avrebbe accompagnato nella visita dell'azienda. La Maison, contenuta e un po' approssimativa, ha le sembianze di una casa colonica e nell'attesa cerchiamo di individuare dove possa essere la cantina che non scorgiamo da nessuna parte. Come d'incanto, si presenta il sig. Mazet, un francese molto particolare, dotato di un anacronistico paio di baffoni che gli donano un'immagine d'altri tempi. Non indugia e ci invita a seguirlo. Oltrepassiamo un magazzino dove vediamo in un angolo un particolare trattore usato nei filari e dall'altro un paio d'auto d'epoca, un po' sgangherate ma che un tempo facevano bella mostra di sè; è in questo frangente che mi vengono alla mente quei particolari viticoltori artefici dei cosiddetti “vin de garage” e ancorchè non abbiamo ancora effettuato alcuna degustazione, ci sono tutti i presupposti e le caratteristiche perchè anche Mazet ne faccia parte. Ad un certo punto, lo vediamo alzare una botola a filo pavimento e con nostro stupore ci accorgiamo che quella sia l'entrata della cantina che si estende a livello sotterraneo per tutta la proprietà. Scendiamo una ventina di scalini e siamo immersi in un luogo molto fresco, umido e costellato da una miriade di bottiglie, c.ca 20.000. Non manca una piccola "cave du trèsor" dove il Mazet ci da la possibilità di verificare la sua collezione personale ed in particolare alcune bottiglie vintage anni 40, secondo il proprietario ancora in ottimo stato di conservazione. Ne prende una e ce la mostra alla luce facendoci individuare ancora i leviti contenuti e disposti verso il collo della bottiglia. Ci dice, che una volta degorgiate vanno imediatamente consumate, in quanto, la presa di spuma e la forza del perlage non sono più quelle giovanili ma diventano inevitabilmente evanescenti. E' comunque una emozione molto forte, che, purtroppo, non abbiamo il piacere di poter condividere. Ultimata la visita della cantina, i coniugi, ci fanno accomodare in veranda in attesa di degustare la loro migliore produzione. Tira una bella aria e un sorso di champagne, anche se mattutino, ci potrà fare solo bene.


Iniziamo con l'extra brut premier cru, di buona beva che anche grazie a quanto ci riferisce il signor Mazet è adattissimo come aperitivo, molto lineare, minerale e di sentori tipicamente di frutta bianca. Chiediamo come secondo assaggio il Carte D'or,ma con nostro dispiacere apprendiamo che è totalmente esaurito, al che, ci rifugiamo nel Brut tradition premier cru che si presenta, una volta versato nella flute con un color paglierino tenue con riflessi verdognoli sull'unghia, con una spuma delicata e con sentori principalmente di mela verde e con una mineralità quasi ferrosa. Anche in bocca si avverte la frutta,con una giusta acidità e a dire il vero rappresenta uno champagne piacevole da bersi. Per finire degustiamo il Grande Rèserve Premier Cru che dimostra di avere un colore più dorato ed un perlage, una volta esauritasi la presa di spuma, fine e persistente; al naso non solo sentori fruttati sia di frutta bianca e anche di frutti rossi tipici del pinot ma pure di crosta di pane e piccoli fiori di campo. Uno champagne per certi versi seduttivo e affascinante che incarna una diversa visione metodologica e forse anche di sensibilizzazione che differenzia i piccoli produttori dalle Maisons altisonanti. 

Siamo passati da Ruinart e dalle favolose cantine scavate nelle gessaie romane e da un'accurata operazione di marketing ad una visita di una piccola, ma dignitosissima realtà familiare, dove, nè la cantina, nè la promozione del prodotto possono competere, ma dove l'aspetto umano è senza dubbio più tangibile e lo champagne prodotto, seppur qualitativamente inferiore incarna,  la personalità ed il gusto del produttore. 

Anche questa è stata un'esperienza da non sottovalutare, ma deve darci la possibilità di cogliere tutte le sottili differenze che si riscontrano tra i negociant-manipoulant e i recoultant-manipoulant. 

Siamo in perfetto orario, non indugiamo e ci rimettiamo in auto alla volta di Ay dove alle 11.00 abbiamo fissato un nuovo appuntamento con la Maison Gatinois, vignaioli da ben 11 generazioni. L'azienda, sita in -rue Marcel Mailly 7, dietro la chiesa principale del paese dista una ventina di chilometri da Chigny les Roses ed è al centro della zona identificata come Vallèe de la Marne. L'azienda è in fermento, stanno svolgendo alcuni lavori e la nostra presenza per alcuni istanti passa quasi inosservata fino a che ci imbattiamo nella signora Gatinois che ci invita ad accomodarci in un salotto moderno circondato da immense vetrate. Dopo alcuni istanti di presentazione, ci viene data subito la possibilità di accedere alle degustazioni posticipando la visita della cantina. Punto fermo sono i vigneti tutti classificati Grand Cru; iniziamo con il brut Grand Cru dove l'imponenza del pinot noir è manifesta con sentori marcati di frutta rossa e di spezie e con un'accentuata mineralità. E' uno champagne che si caratterizza per una notevole struttura e una complessità olfattiva davvero accattivante. Lo sorseggiamo con enorme piacere e con un misto di stupore e soddisfazione. Passiamo di gran carriera al Brut Rosè Grand Cru che si presenta subito come uno champagne dalla notevole personalità ad iniziare dal colore, non così ramato come il Ruinart del giorno precedente, ma da un tono più acceso e la bottiglia dal vetro chiaro ne esalta visivamente tutta la sua brillantezza. Al naso chiari sentori di frutta rossa surmaturata ed In bocca è un esplosione di note di tamarindo e rabarbaro che declinano su toni leggermente erbacei con una persistenza aromatica molto lunga. E' senza dubbio lo champagne di punta della Maison dotato di una struttura imponente ed il suo abbinamento culinario può spaziare da una piatto di tagliolini al tartufo ad un sashimi di salmone fino a defluire forse in modo un po' blasfemo ad una bella bistecca al sangue!!


La madame, che si appresta a farci visitare la cantina appare come una donna molto determinata e questa sua risolutezza è manifesta anche nella sobrietà della cave posta ad una ventina di metri sotto terra dove tutto è molto ordinato ed organizzato. Non ci dedica troppo tempo e per alcuni istanti ci sentiamo un po' fuori posto, come se in quei momenti avessimo fermato il ciclo naturale delle giornate della Maison. E' comunque cordiale e si prodiga a soddisfare nel più breve tempo possibile le nostre ordinazioni. 

Scorcio vigneto Gatinois

La Maison Gatinois, nonostante sia azienda contenuta ha l'impronta di chi sa cosa vuole e quali sono le potenzialità del territorio attraversato dalla Marna, dove il pinot noir è un punto ben saldo. Personalmente penso che sia la zona in cui si riescano a valorizzare al meglio le caratteristiche strutturali del pinot noir e d'altra parte la visita a Philipponat del giorno precedente non fanno che confermare questa mia affermazione.

Soddisfatti degli acquisti effettuati e con il bagagliaio che inizia a traboccare di numerose casse di champagne, ci dirigiamo lungo la strada che ci porterà nel pomeriggio verso l'ultimo appuntamento enologico nella zona denominata Cote des Blancs. 

Sono da poco passate le 12,00 ed il nostro orologio biologico interno risuona per invitarci a fermarci per uno spuntino che asciugherà le degustazioni sin li effettuate. Entriamo in quello che definiremmo una specie di circolone gestito da un oste corpulento che ci indica i piatti del giorno; optiamo per un entrèe con jambon des ardennes e sottoaceti seguito da un piatto di paella non propriamente tipico e del formaggio per il buon Mario, il tutto annaffiato da del vino rosso, anonimo, della casa. Il solito caffè per così dire "all'italiana", una Marlboro per Paolo e poi di nuovo in auto con destinazione Cramant. Cramant si trova nel cuore della Cote des Blancs a circa 13 km dalla nostra ultima destinazione.

Bottiglia di Champagne all'entrata del Villaggio di Cramant 

Alle 15.00 abbiamo fissato appuntamento con la Maison Diebolt-Vallois costituita dalla famiglia Vallois, coltivatori dal XV° secolo e da quella dei Diebolt dal XVIII°; a circa un centinaio di metri dall'azienda incrociamo madame Isabelle figlia del proprietario Jacques Diebolt che ci indica di parcheggiare l'auto ed aspettarla all'entrata di quello che sembrerebbe un magazzino. 


L'impatto con la signora non è dei migliori, visto che continua a domandarci come mai tre italiani si siano spinti sino alla loro Maison. Abbiamo la sensazione che la visita non sia troppo gradita, tanto è vero che ci invita subito senza alcun preambolo a degustare gli champagne in produzione. E' sgarbata e per certi versi incarna la notoria supponenza di certi francesi ed inoltre manifesta tutta la sua maleducazione nel momento in cui interrompe la nostra degustazione per dare retta a certi americani arrivati dopo di noi, con i quali esterna manifestamente un savoir faire ostentato, relegandoci a sgraditi comprimari. L'unica sua fortuna, visto che sarebbe stato il caso di abbandonare la scena, lasciandola ad argomentare con 4 americani che non saprebbero riconoscere un vino bianco da un vino rosso è che la Maison sappia maledettamente fare champagne. Abbiamo degustato un paio di champagne ai quali va tolto tanto di cappello dove lo chardonnay, unico vitigno coltivato nel territorio, esprime al meglio le proprie caratteristiche.

A parte un inizio per farci la bocca con un brut beverino e caratterizzato da note di limone e mela, che abbiamo tralasciato quasi subito, siamo passati al brut Blanc de Blancs millesimo 2005 con una presa di spuma effervescente seguita da un perlage molto persistente, da sentori di frutta bianca, dal cedro alla pera e da note floreali ben definite, su tutte il gelsomino con una mineralità e una finezza fuori dal comune. In bocca è setoso, si scioglie e ti invita in modo ammaliante ad effettuare subito un nuovo assaggio. Superlativo!!

Il top però lo ritroviamo nel Fleur de Passion 2004, dove il nome è di sicuro azzeccato in quanto, quando lo bevi, ti esplode dentro una passione quasi carnale, con un frutto sostenuto, dove però il maggior pregio è dato dall'incredibile pulizia in bocca, che all'assaggio, diventa un'alternanza di seta e velluto insieme. E' vino estremamente elegante, fine e raffinato e molto seduttivo, al quale non oserei abbinare alcun cibo, ma sorseggiarlo da solo rappresenta il miglior viatico per poterlo comprendere e gustarlo appieno.

Siamo di fronte a grandi champagne definiti con cura, dove lo chardonnay, si dimostra ancora una volta un vitigno grandioso.

Avremmo voglia di comprendere e conversare ma il nostro interlocutore, nonostante il prodotto, non è assolutamente all'altezza e preferiamo quindi ordinare quanto ci occorre per lasciare l'azienda il prima possibile. Mentre ci vengono preparate le casse, ci drigiamo nello studio del proprietario per il pagamento; il sig. Jacques Diebolt ha le fattezze del dottor "azzeccagarbugli" seduto su di una poltrona di pelle un po' consumata ed immerso in una marea di carte, alle prese, con qualche difficoltà, con un computer un po' demodè.

Un'azienda che sa fare grandi champagne ma che a livello di cortesia e marketing dovrebbe di sicuro invertire la rotta!!

Un po' seccati, ma confortati dall'aver acquistato champagne di pregio, non indugiamo a rimetterci in strada direzione Payns; ci attendono 121 km. che ci separano dal luogo natio del fondatore dell'ordine dei Templari. 

Ai nostri viaggi enologici cerchiamo, nel limite del possibile, di dare anche una connotazione culturale sia per non stereotipare in pieno il tempo a nostra disposizione sia per poter apprendere usi, costumi, storia e cultura dei luoghi visitati.

Essendo personalmente appassionato del mondo legato ai templari, mi sembrava opportuno visitare i luoghi in cui nacque Ugo de Payns cofondatore con altri 8 uomini dell'ordine e più precisamente avremmo visitato un piccolo museo situato nei pressi di quella che fu la prima Commanderie templare.

Payns è un piccolo villaggio molto curato, estremamente tranquillo, che non avrebbe probabilmente alcun visitatore se non fosse per il suo illustre cittadino; all'entrata del paese ci imbattiamo in un enorme murales raffigurante Ugo de Payns in abiti templari, molto coreografico che di certo fa presa su un appassionato come me. 

Il museo è distante circa 500 metri dalla via principale che taglia in due il paesino. 

Per essere sincero, mi sarei aspettato qualcosa di meglio, un po' più strutturato rispetto ad un piccolo caseggiato nel quale, all'interno, vengono esposte fotografie e reperti rinvenuti nell'area circostante. Una piccola saletta attigua dove viene proiettato un video esclusivamente in francese rievocante splendori e miserie dell'ordine. 

Una visita durata circa 30 minuti, seguita da alcune fotografie, per poter dire "qui ci sono stato" e poi ci rimettiamo in auto per andare a visitare l'ultima nostra destinazione della giornata, ovvero, la splendida città di Troyes.

Troyes, si collega inevitabilmente con i Templari, in quanto la cattedrale fu sede nel XII° secolo della ratifica dell'ordine secondo il beneplacito papale ed alla presenza della figura carismatica di San Bernardo, estimatore e garantista dell'ordine stesso, ovviamente, con la partecipazione del già citato fondatore Ugo de Payns. Ci sembrava quindi doveroso visitarla.

Nell'intera regione della Champagne, Troyes si colloca al secondo posto, per dimensioni e importanza, dietro a Reims; essa si distingue in primo luogo per il profilo della città vecchia che, casualmente ha la forma di un tappo di champagne. In realtà il centro storico fu disegnato almeno cinque secoli prima dell'invenzione del famoso vino con le bollicine.

Troyes è a dir poco inebriante. Prima di addentrarci nel centro storico, visitiamo nei pressi di un chiesa un caratteristico mercato coperto ed un simpatico mercatino delle pulci, dove il buon Paolo, casualmente, trova in una bancarella lo stemma della nostra associazione rappresentante la favola di Esopo “La volpe e l’uva”. Un chiaro segno del destino.

E' bellissimo passeggiare per le stradine dove si possono scoprire angoli caratteristici, piazzette intime e passaggi quasi segreti spesso e sovente con il naso all'insù per scorgere, meravigliati, le superbe case a graticcio tutte colorate, ornate di affreschi e piccole sculture che ci riportano in un istante ad assaporare un'atmosfera tipicamente medioevale, nella quale, possiamo solo immaginare le grandi Fiere brulicanti di un'infinità di persone.

Passeggiando nel centro storico, ci rendiamo conto che Troyes sia una delle città francesi in cui l'aspetto medioevale sia meglio conservato; le facciate delle case sono decorate in verde,blu, rosso e giallo e le finestre a crociera sono lavorate finemente. E' un bel colpo d'occhio e Paolo si sbizzarrisce immortalando una serie infinita di fotografie.

Siamo un po' stanchi e prima di cenare, ci sediamo beatamente in un bistrot all'aperto assaporandoci molto dolcemente un bicchiere di riesling. A quell'ora della sera, le vie sono piene di gente che si rilassa dopo una giornata di lavoro; come direbbe qualcuno :" Qui la gnocca pullula!!!" Cammin cammina, lo stomaco inizia a reclamare, ma la scelta del ristorante diventa sempre più ardua. 

Attratto visivamente da un posticino molto caratteristico, mi fiondo subito all'interno anche se la cena non sarà di quelle indimenticabili; menu di difficile interpretazione, piatti tipici un po' indigesti e per l'ennesima volta ci indirizziamo verso un piatto di carne molto deludente.

Pazienza. Ciò che conta è che comunque la giornata è stata molto positiva. Abbiamo condensato in due giorni tutto ciò che poteva farci apprendere al meglio il territorio, le diverse zone vinicole e le diverse mentalità delle Maisons a seconda della loro dimensione ed importanza. 

Ci siamo imbattuti in modi diversi di concepire lo champagne influenzati dalla storicità delle aziende, dal gusto personale degli chef de cave e dai diversi terroirs. 

Ne sappiamo sicuramente di più di questo mondo incantato delle bollicine anche se la conoscenza non è mai abbastanza e torniamo verso casa ,consci di aver fatto un ulteriore passo avanti nell'apprendimento enologico.

Per addolcire il rientro, ma soprattutto per non dover effettuare altri 800 kilometri tutti di un fiato, in sede di definizione del viaggio avevamo deciso di fare tappa intermedia in Alsazia, a Colmar, approfittando per l'occasione per fare scorta di vini bianchi da Seppi Landmann, azienda sperimentata positivamente nel nostro viaggio del 2007. 

Occorrono 363 km. partendo da Dizy per giungere a Colmar, con destinazione l’ Hotel Turenne in Route de Bale al 10, dove per motivi logistici abbiamo prenotato parcheggio privato in modo tale da non dover scaricare l'auto in quel momento già colma di bottiglie di champagne. 

Il tragitto è percorso con molta tranquillità, poco traffico e tanto sole; ci fermiamo per una sosta ad un grill ed abbiamo la fortuna di imbatterci in alcune cicogne che, neanche fossero provette attrici, si lasciano amabilmente fotografare mettendosi in mostra, sempre e comunque a debita distanza. 

Colmar è sempre stupenda, una cittadina caratteristica e piena di turisti in ogni giorno dell'anno. Sbrigate le normali operazioni burocratiche all'hotel, siamo già di nuovo in auto per recarci all'appuntamento con Seppi Landmann. 

Ripercorrere certe strade e rivedere luoghi già visitati fanno ritornare alla mente bellissimi ricordi e un certo compiacimento ci pervade intriso anche di una sorta di malinconia, però, dolce, quasi carezzevole. 

Questa volta siamo fortunati, ad attenderci c'è il sig. Seppi, un uomo over 50, un po' goffo, molto robusto con uno sguardo furbo e sicuro di sè.

E' un fenomeno. Una volta accomadati nella piccola saletta di degustazione, interamente perlinata, ci propina un serie infinita di vini, dal sylvaner al riesling, al pinot e ai gewurtz , dal base al grand cru alle vendange tardives sino a concludere con le selection des grains nobles. Una sinfonia ed un'apoteosi di profumi, alcool e dolcezza che inebriano il cuore ma soprattutto la mente, che in breve tempo si offusca.

Pazzesco. Ad un certo punto diventa difficile riuscire a capire quello che vorremo acquistare, anche se, con l'aiuto del vigneron e con un attimo di concetrazione riusciamo a rinsavire ordinando una serie di ottime bottiglie. 

E' stata, senza dubbio, la degustazione più difficile da reggere sino in fondo.

Ci salutiamo, entrambi felici, con la promessa di tenerci in contatto.

Il viaggio a questo punto è veramente concluso e sulla strada del ritorno il pensiero è già rivolto al 2012 con la segreta speranza di poter visitare l'ultimo angolo vinicolo francese che ancora ci manca, ovvero, la Loira con i suoi favolosi e misteriosi vini bianchi e con i suoi castelli da mille e una notte!! 

Caratteristico scorcio delle case  nel centro storico di Troyes