La Giara” è una commedia in atto unico scritta nel 1916 da Luigi Pirandello e pubblicata nel 1917 nella raccolta “Novelle per un anno”.

Novella rievocata nel film “Kaos” dei fratelli Taviani del 1984, interpretata magistralmente dalla coppia artistica, nota esclusivamente per ambientazioni comiche, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che avrebbero meritato qualche riconoscimento personale, al di là del David di Donatello conferito ai registi. Per chi ha sempre lavorato nel comico grottesco non è mai semplice interpretare un film d’autore, ma come spesso accade, gli attestati e gli encomi (purtroppo) sono sempre postumi (vi consiglio la visione).

Come molte opere pirandelliane, propone molti dei temi che l’autore siciliano fa emergere continuamente, come ad esempio, l’ambientazione della Sicilia, l’attaccamento viscerale ai beni materiali, le prese di posizione mai inclini al cambio di opinione, la rappresentazione della realtà contadina e la rivalità siciliana attraverso il secolare scontro delle classi sociali. 

All’interno dell’opera, c’è un passaggio emblematico, quando si fa girare la giara, al cui interno, il protagonista, Zi’ Dima, abile artigiano restauratore, dice: “……girate fino a quando io non vedo negli occhi la luna…” dove per qualche istante egli stesso vive una dimensione onirica.

Questa stessa dimensione, quasi sognante ed intrisa di un’esaltazione tendente ad una sorta di disorientamento della coscienza, l’ho avvertita nell’assaggio di un vino siciliano molto particolare, che denota alcune similitudini con “La Giara” pirandelliana.

Un vino che mi ha psicanalizzato, talmente è disarmante, facendomi sognare ad occhi aperti, traducendo il sogno in uno stato di completa accettazione e quindi di assoluta realtà.

Il vino in questione è il Pithos Bianco di Cos, annata 2014 di 11,5°vol.. Grecanico in purezza 100%.

Non è un caso che Pithos sia un’antica parola greca che significa grande giara utilizzata per immagazzinare prodotti vari, quali l’olio e il vino ed in origine veniva usata dagli archeologi per specificare le giare scoperte negli scavi a Creta e in Grecia. L’etichetta della bottiglia riporta alcune giare finemente stilizzate che rappresentano vere e proprie anfore di terracotta, in questo caso di provenienza Georgiana, utilizzate dall’azienda vinicola siciliana per la fermentazione, con lunghi tempi di macerazione sulle bucce e per l’affinamento. Sono sempre molto incuriosito da chi non utilizza legno, pur sapendo che la terracotta fornisca un ottimo isolamento termico, dovuto in parte anche all’interramento ed anche perché generalmente è un contenitore che fa emergere il varietale ed il frutto dando respiro e ossigenazione migliore rispetto ad altri componenti quali il vetro-cemento.

A sostegno di questo vino, il terroir di Vittoria, sull’estrema punta sud-orientale della Sicilia, dove quando soffia il vento si respira aria africana, in un contesto di colori che vanno dal rosso all’ocra e al giallo, dove la vite cresce su terreni di media consistenza di sabbie sub-appenniniche di origine pliocenica e di natura calcarea, inframezzate da sabbie silicee ed argille di varia stratificazione. Per il resto ci pensano le sapienti mani dell’uomo, in questo caso di Giambattista Cilia, di Giusto Occhipinti e Cirino Strano (i proprietari) ed il tempo.

Il Pithos Bianco è intrigante, a partire dalla particolare forma della bottiglia, ma è visivamente stupefacente dal momento che lo si versa nel bicchiere, esternando un colore ramato limpido, tipico degli orange-wines.

Lasciato ossigenare a dovere emana nette sensazioni di albicocca fresca, appena colta e pesca-noce ed a seguire lievi accenni floreali ed erbe aromatiche, tipiche della macchia mediterranea. Sul finale una nota che inizialmente confondo come ossidativa, ma che in realtà è simile allo smalto o a qualche indecifrabile solvente. Sia ben chiaro non è negativa, ma a mio parere, è distintiva. In bocca entra carezzevole, lievemente oleoso e minerale. Si ripresenta l’albicocca oltre ad accenni di frutta secca e un leggero retrogusto amarognolo su di un finale persistente.

E’ piacevole, quasi un vino primordiale e a tratti è di una complicata semplicità!! Non inganni la bassa gradazione alcoolica che al contrario rappresenta un punto di forza nella sua apparente leggerezza di beva. 

La naturalità di questo vino, nella sua accezione positiva (non inflazionata dalla moda del biologico o del bio-dinamico), oltre a farmi sognare ad occhi aperti, mi ha ricordato per l’ennesima volta che il vino, nella sua semplicità, è lavoro, pazienza e soprattutto opera d’arte.

Il mio consiglio è di provarlo per riuscire, almeno una volta a vedere negli occhi la luna.