Se la Francia vinicola, ed in particolare la Borgogna, godono oggigiorno della fama dei loro pregiati vini, gran parte del merito è da attribuire alle teste coronate, ai Duchi e ai Marchesi che, nel corso dei secoli, sia per ragioni politiche, sia per assicurarsi il Paradiso, cedettero parte dei loro possedimenti agli ordini monastici, costituiti da fervidi difensori della fede cristiana, ma anche da abili viticoltori. Dopo la rivoluzione Francese, la “nuova nobiltà” riciclatasi al principio di libertè, egalitè, fratenitè, riprese in mano le terre e le sorti vinicole con maestria e con gran senso degli affari. 

Una di queste famiglie nobiliari di antico lignaggio, è senza dubbio quella degli d’Angerville d’Auvrecher, che fiorì in epoca carolingia.

Un Guillaume d’Angerville d’Auvrecher fu compagno di Guglielmo il Conquistatore, invasore della Britannia nel 1066, mentre la famiglia proviene da Falaise, antica città ancora esistente a 35 km da Caen, in Normandia e si dice che il loro titolo nobiliare di Marchesi, fosse già esistente al tempo del re di Francia Luigi XV° (1715). 

Per quanto concerne le vicende vinicole borgognone, due furono le figure importanti che segnarono le sorti di quello che sarebbe diventato l’odierno Domaine Marquis d’Angerville: Eugene du Mesnil (Barone) e Claude Pierre Thomas Sem d’Angerville d’Auvrecher (Marchese).

Il padre di Sem, sposò nel 1872 Eugènie Baptistine Jeanne Jobard du Mesnil, imparentandosi indirettamente con il Baron du Mesnil (Eugene), proprietario in Monopole del “Clos des Ducs”, mitico vigneto di Volnay, nel cuore della Cote de Beaune, oltre a diverse altre parcelle, note agli appassionati, quali il Taillepieds, il Caillerets e lo Champans.

Quando morì, nel 1888, non avendo eredi diretti, lasciò l’ingente eredità al figlioccio, il Marchese Sem d’Angerville d’Auvrecher, che divenne uno dei personaggi più influenti e rappresentativi di tutta la Cote d’Or. 

Oltre a rappresentare in modo antesignano l’odierno stile moderno delle aziende vinicole (fu uno dei primi ad imbottigliare direttamente il proprio vino), divenne leader del mondo sindacale vinicolo nei primi decenni del ‘900, presiedendo dal 1905 al 1927 il Sindacato per la difesa della viticoltura della Borgogna, organizzando vere e proprie lotte contro le frodi del vino. Fu membro della commissione che nel 1936 classificò i singoli climat nelle attuali categorie di Village, Premier Cru e Grand Gru. Significativo è il fatto che se a Volnay non ci sono Grand Cru, ciò sia dovuto all’integrità morale del Marchese che, per anni sindaco, onde evitare di essere accusato di un vero e proprio conflitto di interessi, scelse di non proporre alcuna vigna del Comune al titolo più ambito, nonostante il Clos des Ducs, di sua proprietà, ne avesse tutte le caratteristiche per meritarlo. Non ultimo, viene anche ricordato per essere stato membro organizzativo della creazione dell’A.O.C. (Appellation d’Origine Controlèe) e dell’Institut National de l’Origine et de la Qualitè (l’odierno I.N.A.O.).

Ho confidato ad una carissima amica, che sovente mi chiede cosa degusterò la domenica, che normalmente non scelgo cosa bere. Mi spiego meglio, anche se tutto ciò potrebbe passare per strano ed anticonformista. Di solito, ho l’abitudine di scendere in cantina e per uno strano meccanismo alchemico, per certi versi magico, è la bottiglia che mi sceglie. 

Così è capitato anche per il Pommard Marquis d’Angerville annata 2003 di 13,0°vol. che ho abbinato ad un succulento piatto di polenta ed ossobuco.

Se percorrete la statale D974, uscendo da Beaune, troverete subito una biforcazione che vi immetterà sulla destra verso la Dipartimentale D973 e subito sarete immersi nei vigneti di Pommard e le sensazioni saranno meravigliose, come quelle che ho avvertito nel mio primo viaggio in Borgogna, nel lontano 2006.

Qui regna sovrano il Pinot Noir e la particolarità del terroir composto da un misto di argilla e ferro, dà origine a rossi mediamente più carichi nel colore rispetto agli altri della Cote d’Or ed a vini più austeri e lenti ad aprirsi. Ne so qualcosa, visto che ho degustato Pommard giovani e per certi versi imbevibili che, lasciati adeguatamente riposare, hanno subito quella evoluzione, che li ha portati magicamente a ripagarne l’attesa. 

Singolare è il fatto che l’Abate Claude Arnoux, che nel 1723 scrisse il primo libro sui vini di Borgogna, che ho recentemente acquistato e tradotto in italiano, sui vini di Pommard recita quanto segue:

Pommard è il secondo vin de primeur ed i vigneti sono situati tra Volnay e Beaune, un po’ meno elevati di quelli di Volnay ma più alti della città di Beaune. Si produce un vino che ha un po’ più di corpo del precedente (Volnay), ha il colore del fuoco vivo, presenta molti profumi balsamici e si conserva qualche mese in più rispetto a quello di Volnay.

Si vende meglio ed è più salutare e se si conserva per più di un anno prende il colore della buccia della cipolla.”

Il Domaine Marquis d’Angerville è proprietario di 15 ettari vitati dei quali due/terzi in Premier Cru ed il rimanente terzo in Village, come il Pommard degustato per l’occasione. La particolarità dell’azienda è perseguire la tradizione, cercando di far risaltare nel tempo una ricercata finezza nei vini prodotti.

Non nego che l’annata, particolare, mi ha dato qualche preoccupazione, visto che tutti la ricordiamo (anche in Italia) come estremamente calda ed anche in Borgogna la vendemmia fu anticipata alla terza decade di agosto. La speranza è quella di non rimanere delusi.

Per i vini di una certa età, raccomando sempre di utilizzare il cavatappi a lamelle per non incappare in spiacevoli sorprese legate allo sfaldamento del tappo. 

Versato nell’apposito bicchiere stile Burgundy, il Pommard Marquis d’Angerville si presenta di un colore rosso rubino carico con leggeri riflessi granati sull’unghia. L’annata ha sicuramente influito sull’estratto degli antociani visto che il colore è sensibilmente più marcato rispetto alla media degli altri Pinot Noir borgognoni. 

Il naso è sorprendentemente piacevole a partire da evidenti note di mentolo e liquirizia, al quale subentrano prepotentemente ciliegia marasca ed amarena molto matura ed a seguire accenni di matrici tipicamente terrose, quasi funginee e tartufate che non sovrastano il frutto. 

Al palato, questo vin de Village, tiene perfettamente il passo di un Premier cru entrando morbido e vellutato ed è sensualmente avvolgente con un tannino setoso e con uso magistrale del legno. Si ripresenta, a più riprese, la dolcezza del frutto, intriso in un’acidità mai doma, in un corollario di piacevoli sensazioni gustative e su di una persistenza aromaticamente lunga. La finezza tiene a bada una certa esuberanza. E’ un 2003 che pare esterni ancora una baldanza giovanile invidiabile; rimango altresì stupito dalla pulizia e dalla facilità di beva relativamente ad un vino, come il Pommard, che notoriamente risulta un po’ ruvido e scorbutico, ma non questa volta. Persino mia moglie, non troppo incline ai vini rossi, ha apprezzato e con soddisfazione, a più riprese, mi ha chiesto un piacevole rabbocco.

Chapeau!!!

Lo stemma nobiliare dei d’Angerville d’Auvrecher riporta un leone con due foglie a 5 petali; in un percorso iniziatico, il Leone rappresenta l’ardore e la forza con cui l’iniziato riesce a dominare il suo lato istintivo, che lo condurrebbe nelle tenebre, per intraprendere un cammino verso la luce.

Bere questo vino è stato come rendere omaggio a Sem Marchese d’Angerville che ha saputo illuminare di una particolare luce un percorso che ha portato i d’Angerville a produrre vini di questo calibro, rendendo onore e lustro ad una delle più antiche casate nobiliari di Francia.