"Was ist Minne?" Che cos'è la Minne

E’ la denominazione che il “canto d'amor cortese” assunse in ambiente tedesco, ed indica la lirica nuova che si diffuse a partire dal 1100 d.C nell'Europa feudale e cavalleresca. Prendendo spunto dal contesto provenzale dei trobadors, dove tutto ebbe inizio, per oltre due secoli, la nobiltà dell'Europa occidentale e dunque anche quella delle regioni di lingua tedesca, si riconoscerà nella celebrazione del “servizio d'amore” dell'uomo nei confronti della donna amata. "La Minne” è l'educazione, la maturazione, l'elevazione: in sintesi è il controllo nella passione, piacere nella rinuncia, elevazione nell'umiliazione del servizio, ritrovamento di sè stessi nell'autospoliazione. La Minne è un atto di conoscenza spirituale, con al suo interno un atto di inclinazione spirituale (per chi volesse approfondire l’argomento suggerisco il libro di Otto Rhan “Crociata contro il Graal” del 1933).

La seconda metà del XIII sec. e ancor più la prima metà del XIV vedono tuttavia un progressivo declino della Minne, della cui ultima stagione è protagonista Oswald von Wolkenstein (1376/1378-1445). 

Oswald von Wolkenstein era un poeta, compositore e menestrello nato a Castel Trostburg nei pressi di Ponte Gardena. Portò il suo repertorio di Canzonieri nel territorio dell’odierno Sud-Tirolo e nelle lande teutoniche.

Per capirci, potremmo paragonarlo, in modo molto antesignano a un Bob Dylan, se volessimo riconoscerlo a livello internazionale, mentre su un piano squisitamente nazionale  a un Fabrizio de Andrè e se volessimo ulteriormente esagerare, potremmo pensare ai brani “It ain’t me Babe” o a “La canzone dell’amore perduto”, per  calarci  di più nel personaggio.

Oswald von Wolkenstein, ha un’altra prerogativa, ovvero compare, da sempre, sull’etichetta del vino Lamarein, prodotto da un viticoltore alto-atesino: Josephus Mayr, titolare dell’omonima azienda ubicata nel Maso Unterganzner, appena fuori l’abitato di Bolzano. Se volete fare una visita, dovete percorrere la statale bolzanina sino a giungere in località Cardano, ma fate attenzione, in quanto per arrivare a destinazione il navigatore stenta ad  individuarne l’esatta ubicazione ed io ed i miei fidi compagni ne sappiamo qualcosa. 

Unterganzner, che significa “sotto la roccia” è di proprietà della famiglia Mayr dal lontano 1629 ed è passato di padre in figlio (primogenito) sino ai giorni nostri. La struttura del Maso è divisa sostanzialmente in tre distinte costruzioni, una delle quali si compone dei locali adibiti a tutto quanto concerne la naturale evoluzione produttiva, da grappolo a bottiglia finita, ovvero il locale adibito al diraspamento, alla fermentazione, all’affinamento, all’imbottigliamento e allo stoccaggio.

Per accedere nella zona dell’affinamento, ci si arriva sollevando una botola a filo pavimento ed attraverso una scalinata in legno si scendesottoterra in un ambiente con umidità e temperatura ideali per il riposo del vino. Questa è la vera e propria cantina, modificata strutturalmente nel tempo, visto che la parte più vecchia ha almeno 300/400 anni, un’altra è datata 1905, mentre la parte nuova è abbastanza recente. 

La famiglia Mayr è proprietaria di 9 ettari di vigneti con un’età media di 30 anni che, ciclicamente vengono reimpiantati. Oltre le varietà autoctone, sui quali spicca inevitabilmente il Lagrein, sono vitati anche uvaggi di taglio internazionale; tra l’altro, il sig. Mayr fu il primo, nella zona, ad introdurre il Cabernet. Correva l’anno 1985. I Mayr, eseguono l’intero processo della produzione dei loro vini di qualità, a partire dal trattamento dell’uva in vigna sino alla vendita della bottiglia, con l’ambizione di poter coltivare i vigneti con cure scrupolose e di vendemmiare sensibilmente più tardi rispetto ai concorrenti per cercare di ottenere un’eccellente qualità dell’intera gamma dei prodotti del Maso. 

Il cavallo di battaglia dell’azienda è senza dubbio il Lamarein, degustato nell’ annata 2010 di 15,0°vol. Nasce da un vigneto posto su terreno alluvionale di origine porfirica morenico, vendemmiato tra la prima e la seconda settimana di ottobre; i grappoli raccolti manualmente vengono posti in piccole cassette di plastica e successivamente fatti appassire sotto tetto fino a Natale. Invecchia per 17 mesi in botti di rovere.


Versato nell’apposito balloon è quasi indescrivibile già dal colore che è un misto di inchiostro e di melanzana molto matura con riflessi violacei sull’unghia, così cupo che è totalmente impenetrabile e non solo, i profumi sono ben presenti ad iniziare da sentori di cioccolato che virano verso la confettura di lamponi ed amarena ed a tratti avverto anche il profumo delle ciliegie sotto spirito che, da fanciullo, rubavo dal barattolo ben custodito nella credenza posta nel salottino buio ed umido della mia povera zia Franca. Questa è una sensazione bellissima che mi fa tornare indietro nel tempo e quindi per me è il vino del ricordo, quasi primordiale. Lasciato ulteriormente ossigenare, non fanno fatica ad emergere sensazioni erbacee unite ad un fine sottobosco.In bocca è morbidissimo, sontuoso, caldo e suadente al punto da riempirti il palato e per certi versi, quasi si mastica, riportandomi a sensazioni provate in altri vini, quelli tipici del sud della Cote du Rhone dove il Grenache la fa da padrone, tanto da farmi ricordare un Ebrescade annata 2006 del vulcanico Marcel Richaud o addirittura un Prieurè de Saint Jean de Bèbian della Languedoc-Rouissillon.

E’ un vino che ha struttura, sorretto da un’acidità ben presente e da una vena di dolcezza che l’attraversa con sferzante sensualità. Nonostante l’alcoolicità, che si avverte sorso dopo sorso, la beva è totalmente piacevole, il tannino meravigliosamente setoso, l’uso del legno equilibrato e la persistenza aromatica è decisamente lunga. 

Rilascia sul finale un retrogusto di fini note di cioccolato e di cannella. 

Nonostante i quasi otto anni di vita, sembra talmente giovane che lascia intravedere ancora lunga vita davanti a sé; fortuna che in cantina ho un’altra bottiglia che lascerò affinare almeno per un altro decennio. 

In sintesi è un vino che ti cattura e ti rapisce allo stesso tempo, portandoti in un stato simile al peregrino Ulisse, ammaliato dal canto delle sirene. 

Dopo aver degustato questo vino, penso di poter affermare con certezza, che l’aver messo in etichetta Osvald von Wolkenstein, non sia stato fatto per omaggiare un personaggio storico della provincia sud-tirolese; il menestrello cantava l’amore, sentimento universale che dà forma alla nostra vita, in tutti i sensi e in tutti i contesti e così, l’amore incondizionato e colmo di passione per il vino, nella sua inclinazione più profonda, ha portato Josephus Mayr ad elevarsi al punto di dar vita a un piccolo capolavoro naturale e l’intuizione di utilizzare ll metodo di appassimento delle uve Lagrein, utilizzando lo stesso procedimento per ottenere il ben più noto Amarone, non può essere ricondotta ad una mera sperimentazione, bensì ad una spontanea  alchimia che viene dal cuore e da un amore puro e cristallino.

Allora non perdetevi assolutamente questa chicca enologica, semprechè riusciate a trovarla sugli scaffali di qualche enoteca, visto l’esigua produzione, sì limitata, ma dai connotati di un amore infinito.


“Guarda il calor del sol che si fa vino,

che giunto a l’omor che da la vite cola.


(Purgatorio, c. XXV, v.v. 77-78)