Talvolta, a sproposito sentiamo enunciare queste affermazioni:

“è una persona di cuore” oppure “ha avuto un gran cuore” o ancora “il suo cuore è colmo d’amore”…….

Se analizziamo queste frasi con attenzione e spirito critico, ci accorgeremmo che sia necessario partire da alcuni concetti scientifici, indispensabili per capire di cosa stiamo trattando. A livello puramente anatomico, il cuore è un muscolo cavo, situato nell’uomo tra polmoni, sterno e diaframma; grazie a movimenti di contrazione e distensione è il centro della circolazione del sangue. Non è al centro del nostro organismo ma leggermente spostato a sinistra, è il motore pulsante della nostra vita ed è l’ultimo ad andarsene prima del nostro trapasso; ma se lo guardiamo in un senso più intimista, è la sede dell’affettività e dell’emotività, simbolo della vita interiore e della coscienza morale dell’uomo.

Se ci si concentra, sotto quest’ultimo aspetto, che è quello che più interessa all’uomo, la frase più importante legata al cuore è senza dubbio: “io ti amo”.

Desideriamo tutti sentirci dire, almeno una volta nella vita, “io ti amo”, sia perché in questo modo non deteniamo solo il nostro cuore, ma facciamo parte anche di quello di un’altra persona, sia perché di norma è qualcosa che non ha limiti, che non viene “sporcato” da variabili esterne, perché chi ama, ama incondizionatamente, tralasciando, o forse è meglio dire, non vedendo le imperfezioni dell’altro/a.

A volte, gli amori possono finire, a qualcuno si spezza il cuore ed il cuore continua a battere incurante dell’accaduto, ma ci sono amori che sono eterni e che nulla potrà mai scalfire, come l’amore che la vigneron Laura Semeria serba per il proprio terroir e per i propri vini, che per certi versi, ti fanno battere il cuore, talmente sono veri, viscerali e privi di qualsiasi compromesso.

Faccio riferimento al Cour-Cheverny annata 2016 di 13,0°vol. che ho degustato in una domenica pre-estiva, in una tavola imbandita sulla terrazza di casa, con un’insolita fresca brezza che lambiva i nostri volti, intrisa di una vena malinconica, ma altrettanto lenitiva dell’anima. 




Di chiare origini italiane, ma trapiantata saldamente nella Loira, a Cheverny, territorio non distante da Blois, appassionata e con un gran cuore (questo lo si può dire con certezza!), ha acquistato le vigne che appartenevano allo Chateau de Troussay. Agricoltura biologica certificata, attenzione maniacale al terroir e con attente limitazioni all’uso di anidride solforosa, utilizzata unicamente nella fase di imbottigliamento con quantità ridottissime. Vinificazioni spontanee con lieviti indigeni, fermentazioni curate come un figlio ed affinamenti in acciaio e legno, mentre per le cuvèe più importanti solo affinamento in legno. Innamorata pazza di un unico vitigno: il Romorantin.

Vitigno che si perde nella notte dei tempi, pare sia un incrocio tra il Gouis Blanc ed il Pinot noir ; adatto su terreni silicei, fornisce grappoli medio grandi con acini di piccole dimensioni. Va allevato con meticolosità in quanto soffre l’attacco della botrytis. Secondo dati storici, venne introdotto in Loira nel 1519 da Francesco I, che aveva fatto trapiantare dalla Borgogna 60.000 piedi (un piede 30,48 cm., ovvero 28.800 metri) presso il castello di sua madre Luisa di Savoia, situato a Romorantin. Attualmente l’intera denominazione (Aoc Romorantin) consta di 58 ettari, facendone una delle più piccole di tutta la Francia.

Ma veniamo alla degustazione.

Versato in ampio bicchiere si mostra di colore oro zecchino, limpido e brillante senza alcuna sbavatura. Roteato a dovere, si viene rapiti da intensi profumi floreali che inevitabilmente mi portano a visualizzare il quadro dell’impressionista Claude Monet, “il campo dei fiori” che oltre a rappresentare una chiara scena bucolica mostra l’armoniosità dei fiori che è talmente presente da evocarne i profumi. A seguire, glicine, finocchietto ed erbe della macchia mediterranea con il timo in evidenza. Aspettato ulteriormente, fuoriescono sentori fruttati di susina bianca e pesca noce da maturare al sole.


Campo dei fiori di Claude Monet

In bocca entra decisamente con una spiccata freschezza; è a tratti salivante, estremamente minerale e dotato di una sapidità che ricorda il sapore della pelle appena usciti da un bagno estivo in mare. Ritornano i rimandi fruttati ed un particolare sentore di miele, fresco e leggermente pizzicante. La bevibilità è impagabile ed è così sensuale da farti veramente battere il cuore. Buona la persistenza; l’intero corollario gustativo, accompagnato dalla struttura del vino, lasciano intravedere una lunga evoluzione negli anni a venire anche se è godibile anche in questo momento.

Laura, ha profuso in questo vino tutta la sua sensibilità di donna, ma se fossi in lei, in etichetta, contravvenendo al disciplinare, metterei tra le a e la u di Cour-Cheverney, una “e”, perché questo, in realtà si è dimostrato un vino fatto con il cuore!!