L’olfatto, come ben sappiamo, è uno dei 5 sensi appartenenti all’uomo, ma è l’unico da cui l’anima trae piacere, al contrario degli altri sensi che danno piacere al corpo. 

Forse, tra gli organi sensoriali, è quello primordiale, legato alle nostre origini, ma non solo. E’ il meno condizionato perché invia al cervello stimoli integri e non sottoposti a filtri di natura convenzionale; è altamente simbolico, tanto è vero che, se uno l’ha ben sviluppato, si sente dire che ha “naso”, che ha “fiuto”, nel senso che è persona intuitiva e che in brevi attimi sa discernere ciò che è bene da ciò che è male.

Recentemente, ho letto che l’olfatto è l’unico senso a non essere stato contaminato dal peccato nel Giardino dell’Eden; Eva “vide” (vista) che il frutto proibito era bello e accattivante, Adamo “ascoltò” (udito) le parole della prima donna ed entrambi lo “toccarono” (tatto) e se ne “cibarono” (gusto), ma non ne trassero il profumo. 

Penso che, oltre alla tradizionale morale biblica, si possa affermare che l’olfatto incarni la maggior spiritualità dei 5 sensi.

Se ancora non si fosse capito, sono profondamente legato a questo senso e alle sensazioni (scusate il giro di parole) che mi pervadono al punto di soggiogarmi a vera e propria schiavitù, in particolari condizioni.

L’olfatto è una sorta di messaggero della memoria, capace di trasmettere cerebralmente ricordi e situazioni per i quali nutriamo una profonda nostalgia o semplicemente un momento di felicità, di allegra spensieratezza o di stato di grazia. Al contrario può ricordare anche momenti spiacevoli, ma per mia natura tendo sempre a livello di inconscio ad indirizzarmi verso ciò che mi ha procurato piacere. Presumo sia umana condizione.

Ci sono profumi ed odori che ricordano l’infanzia, il primo amore o la prima delusione. Sono viscerali e indimenticabili, chiusi nel cassetto della memoria che si apre repentinamente in particolari momenti della nostra esistenza. 

Avete mai condiviso un profumo, magari quello di una persona a voi cara, che vi fa sentire al centro dell’universo, che vi fa palpitare il cuore a mille e che vi eleva in uno stato di perenne illuminazione??? In pochi istanti il tempo si ferma e voi restate sospesi, anzi appesi in un’aurea eterea. Bella sensazione, vero!!??

Queste sensazioni, per mia fortuna, sono racchiuse anche nel vino, baste scoprirle e si aprirà un mondo fantastico. Pensare che il vino sia la sintesi dei profumi di tutto quello che ci circonda, perché incarna la terra, i fiori, i frutti, il sole, il vento, la pioggia, il mare, la luce etc. etc. ha qualcosa di miracoloso. 

L’aspetto più intrigante del vino, a mio parere, è quello olfattivo, sia perché sa anticipare quello che immediatamente dopo realizzerà la bocca, ma soprattutto per il fatto che il suo profumo sia una sorta di chip contenente la storia, il terroir, la fatica contadina, le albe assolate, i cieli carichi di pioggia all’imbrunire ed il tempo, arbitro del suo destino.

Tra tutte le bevande, il vino è l’unica che incarna tutto ciò ed è l’unica che riesce, anche per pochi attimi a porsi come traid-union tra umano e divino. 

Approcciarsi ad un vino è forma intimisticamente olfattiva ed è il momento più appagante e difficile allo stesso tempo; riuscire a scoprirne i profumi ti pone in assoluto equilibrio tra la natura che tutto crea ed il suo spirito.

Ci sono vini che esprimono profumi più o meno intensi, ma ce ne sono altri per i quali occorre una sensibilità pura per coglierne anche quelli più reconditi, come quelli scaturiti dalla degustazione del Pinot Grigio “NOT” 2015 dell’azienda vinicola Paraschos di 12,5°vol. 



Siamo in Friuli, nelle vigne che sorgono nello Slatnik, tra San Floriano e Oslavia, in una sottozona del Collio Orientale molto particolare, dove i terreni, formati da marne di matrice oceanica sono esposti a venti settentrionali che in particolari momenti dell’anno contrastano gli eccessi di calore, riducendone la concentrazione zuccherina nei grappoli e di conseguenza il tenore alcolico. L’azienda, guidata dalla famiglia Paraschos, di chiare origini greche è votata completamente alla naturalità dei loro vini, che si caratterizzano per l’assenza di solfiti aggiunti, pratica in uso dal 2003.

Il “NOT”, 100% Pinot Grigio, è ottenuto per metà con uve poste in macerazione sulle bucce per una decina di giorni e per l’altra con vinificazione in bianco ed in seguito assemblate; a seguire affinamento che va dai 18 ai 24 mesi in grandi botti di rovere, sulle fecce fini ed infine imbottigliato, come dicevo, in assenza di solforosa e senza alcuna filtrazione.

E’ un vino ancestrale, che deve essere aspettato nel bicchiere, senza avere fretta ma lasciando che il tempo faccia il suo corso. 

Aperto, tappo di cm. 5,1 molto compatto. Un’accortezza: apritelo rigorosamente alla temperatura di 12/14° gradi. Sotto i profumi svaniscono, sopra diventano un miscuglio indefinibile e pieno di calore.

Versato rigorosamente in bicchiere tipo Burgundy, si presenta visivamente di color ramato torbido, con riflessi di buccia di cipolla sull’unghia; oggi lo definiremmo un Orange Wine, ma nel suo genere mi pare un po’ riduttivo, anche perché anticamente il Pinot Grigio si è sempre fatto così e solo i tempi moderni ed il marketing sono riusciti a snaturarlo.

Il naso è particolarissimo! Dopo una leggera nota riduttiva che svanisce immediatamente, avverto il profumo delle arance rosse, quelle maturate al sole, in pianta, succose e sensuali; a seguire note di ginger leggermente amaro (quello che da bambino bevevo tutto d’un fiato all’Oratorio), petali di rose rosse (quelle che crescevano nel giardino dietro casa e che emanavano un profumo suadente) e melograno di Carducciana memoria. Lasciato ossigenare a dovere nel bicchiere, emergono tocchi di chiodi di garofano e sentori speziati di difficilissima interpretazione.

In bocca è straordinario, sia per la persistenza ben presente, sia per una strana ma piacevole piccantezza che inebria le papille gustative, in un corollario di sapidità, che fa da sfondo ad un rimandi agrumato di arance su di una bevibilità veramente naturale. 

E’ un vino apparentemente semplice al quale bisogna accostarsi con il dovuto rispetto. Penso che il nome NOT (ho scritto al produttore per spiegarmi l’etimologia, ma senza risposta….) stia a significare Niente o Tutto, nel senso che, a seconda della propria sensibilità, ci puoi trovare il mondo oppure nulla.



Aver degustato questo vino e riconoscendo nell’olfatto il senso più importante, ha rafforzato ulteriormente la mia convinzione che tutte le degustazione dovrebbero essere fatte alla cieca, non con la bottiglia coperta, ma con una benda sugli occhi, iniziando dall’esame olfattivo che, come in natura, apre le porte a tutti gli altri sensi.

Prendetemi per blasfemo, ma il profumo del vino…..è il respiro di Dio!!!