Sono innamorato dello Chenin Blanc!!!

Tutte le volte che scendo in cantina e prendo una bottiglia di Chenin Blanc avverto un sentimento dualistico di “piacere” e di “dolore” allo stesso tempo; di piacere perché so che degusterò un vino particolare dalle sensazioni uniche e di dolore perché sento che mi sto privando di qualcosa che avrei voluto coccolare per altro tempo, ma la tentazione del gusto e quindi del piacere è dominante e non lascia spazio a ripensamenti di sorta. 

E’ un dualismo che spesso ritrovo in altri vini e che talvolta fermano la mia mano tesa a staccare la bottiglia dal suo lento riposo……

Lo Chenin Blanc è un vitigno autoctono esclusivo della Valle della Loira, anticamente chiamato Pineau Blanc o Pineau de Loire, fa risalire le sue prime tracce nell’845 d.C. in uno scritto che lo menziona coltivato nell’Abbazia di Saint Maur de Glanfeuil, che si erge sulle rive della Loira, nell’odierno Comune di Thoureil a 27 km dal rinomato centro di Angers. Secondo la leggenda, nel sesto secolo, San Benedetto mandò Saint Maur in Gallia, il quale fondò l'abbazia di Glanfeuil e qualcuno sostiene che fu proprio lui ha dare impulso alla sua coltivazione andando a sconfessare chi sostiene che il nome di quest’uva derivi dal Mont-Chenin, nel distretto di Touraine, posto a 55 km a sud-est dall’Abbazia.

Tale scritto riporta il sigillo di Carlo II, detto il Calvo, che fu re dei Franchi occidentali, re di Aquitania, re di Lotaringia, imperatore dell'Impero carolingio, re d'Italia e re di Provenza, nonché nipote di Carlo Magno. Se sia stato degno erede degustatore di suo zio, non lo è dato a sapere, ma visto l’epopea vinicola di Carlo Magno che lasciò il segno ad Aloxe Corton in Borgogna (superbi i Corton Charlemagne odierni!!) è molto probabile che abbia dato impulso alla coltivazione dello Chenin, ben orchestrata dai monaci benedettini dell’Abbazia di Saint Maur.

Vitigno bistrattato per molto tempo, in quanto vittima di una spericolata corsa verso ingenti raccolti e vendemmie premature, oggi, per fortuna è oggetto di estrema attenzione a livello di qualità che raggiunge il suo apice nei vini dei distretti di Anjou, Touraine e Vouvray. La caratteristica principale è l’acidità, seconda solo al Riesling della Mosella, che talvolta può essere penalizzante, soprattutto nella sovrapproduzione di acido tartarico, pertanto necessita di grande cura in vigna nel preservarne le caratteristiche organolettiche.

Il vino che ho avuto il piacere di degustare è uno Chenin Blanc sec “Les Monts de Juchepie”annata 2014 di 13,0° vol. del Domaine de Juchepie sotto l’Appellation Anjou Controlèe, di proprietà dei coniugi Oosterlinck-Brache, di origini belghe che, nel 1985 arrivati nella Loira in cerca di una casa vacanze, acquistarono anche 6 ettari di vigneti, che in seguito diverranno gli attuali 7,5 ha e che cambiarono radicalmente la loro vita trasformandoli in vignerons, facendosi apprezzare sin da subito dagli altri viticoltori del distretto e non solo.

Le vigne, hanno un’età media di 40 anni, la più vecchia è datata 1911 e sorgono su terreni particolari formati da un substrato carbonifero e quarzo composto da scisti grigio-verdi e viola venato di fenetite e ricoperto da uno strato di argilla (da 20 a 40 cm.).


L’azienda lavora in biologico dal 1994, certificata nel 1999 e dal 2007 convertita in bio-dinamico (Biodyvin).

Questo vino del 2014, come ben riportato nel retro etichetta è il frutto di una cuvèe relativa a due vendemmie consecutive, una effettuata il 25 settembre e l’altra il 10 ottobre; è un vinofermentato naturalmente, senza aggiunta di lieviti ed affinato in barriques di rovere per 12 mesi. Messo in bottiglia al Domaine senza alcuna chiarifica.

Ma veniamo alla degustazione.

Bottiglia prelevata in cantina ad una temperatura di 12,5°; tappo di cm. 5 compatto.

Versato nell’ampio bicchiere il colore è oro antico con una leggera velatura; al naso, fa intuire le sue potenzialità perché è un tripudio di miele (ma non dolce), quasi selvatico, frutta bianca, mela un po’ acerba, nuances agrumate di lime e leggerissimi accenni di vaniglia. In bocca è avvolgente, opulento ma non stucchevole, è ben presente, voluttuoso e seducente che, quasi amorevolmente ti chiama ad una continua beva. E’ salivante, dotato di una spiccata acidità ed a tratti minerale. Ritorna come non mai al palato il miele, ma di quelli che mangeresti a cucchiaiate, senza stancarti e a rimandi di mela. Persistenza aromatica lunga, insomma, un grande Chenin che berresti a secchiate!!

Per un istante, quasi rapito dalle sensazioni enologiche, ho pensato che questo vino potesse essere sparso come libagione da Carlo il Calvo su un onfalo delfico come offerta divina a suggello di qualche vittoria di imperituro ricordo. 

Magia e seduzione del vino!!!