Qualcuno ha detto che la vita è fatta di piccoli momenti di felicità, per certi versi effimeri ed illusori; beh, se ciò fosse vero, quello che sto per raccontare è  un pizzico di felicità  che di sicuro non potrà perdersi nella memoria. Tornare in Francia è come ritornare ogni volta sul luogo del delitto. I giorni che precedono la partenza sono un tourbillon di emozioni, sensazioni e stati d'animo che faccio fatica a spiegare. Nel momento in cui oltrepasso ciò che resta della frontiera di un tempo, mi ritrovo per incanto avvolto da un'aurea magica e a tratti misteriosa. Ho come la sensazione di ritornare indietro nel tempo rivivendo la grandeur de France. E' indubbiamente una terra che affascina e che ogni volta rilascia nuove sensazioni ed emozioni. Ebbene sì, forse in un'altra vita, sarò stato di sicuro un rivoluzionario con la passione del vino, magari un borgognone o addirittura un vigneron della Champagne. Chissà, chi lo può dire. 

Il nostro viaggio nella conoscenza enologica continua e difficilmente potrà fermarsi. Siamo consapevoli che anno dopo anno il nostro bagaglio si stia arricchendo di nuove sperimentazioni gustative e soprattutto di luoghi che sono diventati culto nel panorama vitivinicolo mondiale. Abbiamo constatato che in questi 4 anni di viaggio abbiamo ampliato il nostro palmares a livello di luoghi mitici; penso che aver toccato con mano il vigneto di Romanèe-Conti, oppure aver dominato il Rodano ai piedi della Chapelle sulle colline di Tain l'Hermitage, sia per certi versi come aver scalato un 8000 per un'alpinista o aver vinto la Coppa Campioni per una squadra di calcio. Forse il paragone non è dei migliori, ma alla base di tutto c'è la passione che alimenta in noi la voglia di continuare a voler capire e a voler intraprendere nuove esperienze. 

Recentemente mia moglie, notoriamente poco incline all'alcool, ancorchè dotata di papille gustative molto sensibili (sarebbe di sicuro un'ottima degustatrice),ha invitato una collega di lavoro, con consorte al seguito, a visitare la nostra nuova abitazione. Per suggellare l'incontro, avvenuto dopo cena, ho stappato una bottiglia di Ramandolo di Ermacora e dopo alcuni piccoli sorsi, la mente è tornata a ripercorrere la bella esperienza vissuta in Friuli nel 2008. Incredibile, solo allora mi sono accorto del trascorrere del tempo e che da li' a pochi giorni ci saremmo rimessi in cammino verso lidi a noi sconosciuti. La famosa valle del Rodano ci aspettava a braccia aperte con i suoi vini Cote-Rotie, Hermitage, Chateauneuf du Pape e Cotes du Rhone. Ci saremmo addentrati con un certo timore reverenziale nel regno dello Sirah, vitigno da noi conosciuto solo letteralmente. Nella Valle del Rodano vige l'equivalenza "vino=rosso", come la terra, il sangue, la passione, la carne... è come se racchiudesse in se' tutti gli elementi umani ovvero la materialità e la spiritualità insieme. Ciò nonostante, vengono anche prodotti bianchi di ottima fattura.  Ho fatto volutamente riferimento a mia moglie, per taluni versi astemia, perchè dopo questi percorsi degustativi, ho rafforzato la mia idea che l'astemio non è nient'altro che un'estremista arroccato sulla propria posizione che, escludendo una cosa nella sua globalità, rappresenta in toto l'inesperienza nel senso di colui che non vuole sperimentare precludendosi un piacere o comunque qualcosa che possa portare giovamento. 

Come sempre, abbiamo lavorato alcuni mesi per preparare minuziosamente l'Itinerario da seguire ed i produttori da incontrare; visto che per ragioni logistiche i nostri viaggi non superano mai i 4 giorni, nulla deve essere lasciato al caso, anche se mettiamo sempre in preventivo una certa percentuale di imprevisto. Quello che possiamo dire è che fin qui, il meglio l'abbiamo ottenuto sempre verso la fine del viaggio, come se aumentassimo lo sforzo in vista del traguardo. Visto che siamo in Francia, potremmo dire verso la Victoire!!

Quest'anno, Paolo, provetto fotografo si sente strepitosamente in vena tanto da immortalarci vicino al nostro automezzo prima di iniziare l'avventura, quasi fossimo alla partenza di una fantomatica mille miglia. E' mattina presto, siamo un po' infreddoliti ed assonnati ma anche gasati come dei pischelli; d'altra parte è anche in questi momenti che riemerge il fanciullo che, per fortuna, è ancora in noi. 

Dobbiamo percorrere 463 km. per arrivare a destinazione, ovvero a Tournon sur Rhone dove alloggeremo all'hotel Les Amendiers. Viabilità nella norma, con decisa congestione sulla tangenziale torinese direzione Bardonecchia- tunnel del Frejus per valicare le alpi e ritrovarci in territorio francese. Sostiamo per un caffè ad un grill sull'autostrada direzione Lyon-Valence e subito ci accorgiamo di essere in territorio transalpino in quanto il caffè assomiglia più a una tazza di acqua bollente scura, ma va bene comunque. Ci sgranchiamo le gambe, il tempo di una Marlboro per Paolo e poi via a destinazione senza più fermarsi. 

Non ho con me il fido Tom Tom, ma il vecchio Paolo coadiuvato dalle mappe stampate da internet, lo sostituisce a dovere indirizzandomi sempre sulla giusta via quasi fosse una cartina umana senza pericolo di errore. 

Percorrendo la N7, arriviamo a Tournon sur Rhone. L'hotel è confortevole e l'ampio parcheggio privato con apertura elettrica del cancello mediante pulsantiera a codice segreto ci da sicurezza. Come spesso accade in zone vinicole, nella hall della reception sono messe in bella mostra bottiglie di vino bianco e rosso dei migliori produttori della zona.  Forse è l'elenco dei vignerons da non visitare!! Giusto il tempo di sfoggiare il nostro francese slang sopito da tempo con un'attempata madame e di lasciare il nostro scarno bagaglio, per poi dirigerci verso Tain-l'Hermitage per rifocillarci a dovere. Tain l'Hermitage guarda la città gemella di Tournon sur Rhone posta sull'altra riva del Rodano e che prende il nome dal pendio che costituisce l'appellation Hermitage. Le città sono raggiungibili attraverso due ponti, uno percorribile anche con automezzi, l'altro unicamente a piedi. Il colpo d'occhio è notevole.

Sul ponte che separa Tain l'Hermitage e Tournon sur Rhone

Il Rodano è un fiume di grandi dimensioni e di portata d'acqua. Da quanto ne capisco da anche l'idea di essere abbastanza pulito, quantomeno sul tratto che stiamo prendendo in considerazione. 

La cittadina di Tain-l'Hermitage, tagliata dalla N7 abbastanza trafficata, si presenta di bell'aspetto, caratterizzata da una piazza principale ben dimensionata adibita a mercato in un giorno non ben precisato della settimana; la perlustriamo in lungo e in largo soffermandoci a visionare alcuni negozietti e bar. Ad un tratto lo sguardo si volge verso i miei compagni di ventura e come per magia ritorno indietro nel tempo, presumo nel 1789 e vedo mio cognato trasformarsi nel famoso rivoluzionario Jean Paul Visenten, nonchè seguace di Robespierre, pronto a ghigliottinare il signorotto di turno proprio nel centro della piazza........ di sicuro sarà andata così o forse è la fame che gioca brutti scherzi. Il pranzo consumato in una bella brasserie è classicamente alla francese con un piatto di salade, accompagnata da una bottiglia di acqua gassata garganella Vals; per il momento ci asteniamo dall'assumere vino per risparmiarci nelle degustazioni che affronteremo nel pomeriggio.

Ci attendono 58 km a nord destinazione Ampuis per visitare il domaine Levet che ci riceverà all'incirca verso le ore 15.30.

Uscendo dal comune di Tain-l'Hermitage, i vigneti si susseguono per meno di 10 km, tant'è vero che superata la località di Gervans, cominciano a diradarsi per sparire dopo poche centinaia di metri. Il percorso è tranquillo e costeggiare il Rodano, sponda destra, ci rilassa. L'andatura è prettamente turistica ed il tempo stabilito di arrivo è di circa un'ora. Solo all'approssimarsi di Ampuis scorgiamo sulla nostra sinistra, lato collinare, i primi vigneti arroccati a terrazze quasi fossero fortificazioni inespugnabili. La lavorazione in vigna è difficoltosa per gli scoscesi pendii. Di sicuro, qui può essere svolta esclusivamene a mano; escludiamo l'uso di trattori anche di modeste dimensioni che, causa le pendenze avrebbero non poche difficoltà a muoversi liberaramente. I tralci, ancora spogli, incutono anche da lontano un certo timore, sembrano tante baionette a difesa estrema del territorio. Il paesaggio collinare è estremamente ondulato, scorbutico e nervoso, forse come il vino che da li' a poco degusteremo al domaine Levet. Le piante qui non superano il metro di altezza per difendersi dal maestrale che soffia spessissimo da queste parti ed in particolare nel giorno della nostra visita.


Vigneti impervi in Cote Rotie

Il Domaine si trova sulla strada principale. Sistemiamo l'auto nel parcheggio della chiesa parrocchiale stile romanico, ed attraversando la strada ci dirigiamo di buona lena verso le prime degustazioni. Come spesso ci accade, subiamo inconsciamente una certa titubanza, quasi esclusivamente con il primo produttore; è successo a Chassagne Montrachet (Borgogna) col vigneron Duperrier Adam, in Alsazia da madame Collet del domaine Weinbach, un po' meno in Friuli da Toros e qui al Domaine Levet. E' come rompere il ghiaccio, è un po' come la prima partita di calcio del mondiale che, se affrontata bene rappresenta un buon viatico per il proseguimento del campionato. Suoniamo il campanello e attendiamo. Si presenta una signora in là con gli anni, con movenze un po' rozze ma di sicuro fiera del proprio lavoro e del terroir; ci accoglie e ci mostra la cantina parlandoci in un francese a tratti incomprensibile per quanto da noi imparato scolasticamente. Si tratta di una piccola azienda che produce annualmente 15.000 bottiglie esclusivamente Cote-Rotie. Entrati nella cave sentiamo un classico odore di muffa e vediamo ben allineate tonneau da 600 litri logicamente piene di vino non ancora pronto.

Beve con noi ed è cosa buona e giusta. E' comunque gentile, in quanto risponde con garbo alle nostre domande e tecnicamente ci spiega che tipo di vino producono. Letteralmente Cote-Rotie significa "costa arrostita" dove l'uva viene per così dire arroventata dal sole, producendo vini dal colore rosso cupo impenetrabile, potenti e di corpo. I vigneti sono piantati su terreni granitici ovvero composti da roccia dura e ricca di quarzo, allo stesso tempo ben drenante e poco fertile; terreni definiti anche scistosi ovvero formati da rocce cristalline che si sfaldano a strati, ricche di magnesio e potassio. La mineralità così marcata dona nel Rodano settentrionale al vitigno Sirah finezza ed eleganza, ma allo stesso tempo, in gioventu' una spiccata tannicità associata ad un sapore speziato e da rilasci di sensazioni gustative minerali che di sicuro non incontrano il canonico gusto del palato italico, più votato a vini maggiormente morbidi e a volte troppo standardizzati. Anche noi, nonostante l'abitudine a vini di non facile beva rimaniamo un po' perplessi e con difficoltà cerchiamo di riconoscere alcuni sentori caratteristici di questo vitigno, quali ad esempio il ribes nero ed il pepe. A tratti avverto tracce di tabacco e sentori animali che un po' mi infastidiscono. La madame, abituata a tutto ciò, asserisce che il Cote-Rotie è un grande vino che va saputo aspettare; dopo una decina d'anni in bottiglia, perde l'aggressività giovanile lasciando spazio ad una maggiore morbidezza e ad una speziatura meno marcata con l'aumento progressivo della frutta rossa. Più bevibile con note più delicate, ma comunque trattasi sempre di vino strutturato e forse non per tutti. Assaggiamo in sequenza il Cote-rotie cuvèe traditon nelle annate 2004/2005/2006. Oserei dire una piccola verticale.

La giovinezza di questi vini ci dice che il più bevibile è l'annata 2005 dotato di un'astringenza meno marcata del 2004 e soprattutto del 2006 che si presenta complesso, carnoso ma soprattutto dotato di una tannicità imbarazzante. Optiamo per il 2005 certi che se sapremo aspettare ci riserverà grandi sorprese di gradimento. Con sensazioni differenti, avevamo avuto le stesse esperienze con alcuni vini borgognoni, quali il Pommard, il Volnay ed il Vosne Romanèe che a distanza di un quadriennio si sono confermati vincenti nel gusto.


I vigneti di Chapoutier in Cote Rotie


Nonostante il tempo inclemente caratterizzato da un maestrale a tratti devastante, ci dirigiamo con la voiture su per le colline per toccare con mano quello che la vista ci riserva dalla via principale di Ampuis. In costa alcuni vignerons lavorano alacremente sfidando a loro modo le intemperie. I terrazzamenti sono costruiti a mano, sintomo di estrema fatica. Ci troviamo a mirare i vigneti di M. Chapoutier, forse con Guigal uno dei più famosi produttori della regione; il colpo d'occhio è impressionante, una collina con pendenze a dir poco vertiginose. La terra è secca e la pulizia tra i filari è quasi maniacale. Il tempo di immortalare tutto con appassionanti fotografie e lestamente, rinchiusi nei nostri giubbotti ritorniamo alla macchina per dirigerci verso lo Chateau d'Ampuis che vediamo dall'alto, nonchè sede del domaine di Marcel Guigal. Architettonicamente perfetto e di sicuro restaurato, lo chateau, secondo le vetuste reminiscenze scolastiche, dovrebbe essere di epoca rinascimentale e comunque pulito in tutte le sue parti, ordinato e con magnifica vista sul Rodano. Viaggiando con l'immaginazione mi è parso di scorgere dietro le tende damascate di una delle tante finestre del castello, la figura del cardinale Richelieu tramare chissà quale piano diabolico per la conquista del trono di Francia.  La fantasia galoppa ed anche il tempo che, tiranno, come Robespierre ci intima di ritornare alla base per una sana doccia calda, per un piccolo riposo, per poi affrontare la cena chissà con quale menu, ma soprattutto con quale abbinamento enologico.

Lo Château d'Ampuis


A volte, la scelta del ristorante, soprattutto in Francia diventa impresa ardua esclusivamente per l'interpretazione del menu, inflazionato da piatti dai nomi più strani e disparati che immancabilmente ci inducono alla scelta di quello che conosciamo per assonanza a qualche vocabolo italiano. Democraticamente lasciamo che sia l'istinto di Paolo a guidarci nella scelta, che inizialmente si rivela come la meno azzeccata in assoluto: servizio al tavolo molto lento, un'unica carta dei vini per una decina di tavoli e ristoratore neanche troppo simpatico. 

Prima di venire in possesso della carta dei vini abbiamo dovuto attendere la fastidiosa indecisione di una coppia di mezza età che, oltre ad averla studiata a memoria, è dovuta ricorrere anche ai consigli del ristoratore. Praticamente un dramma. Per non sbagliare ulteriormente, scegliamo un filet de boeuf (filetto di manzo) che miracolosamente ci ripaga della scelta errata del locale. Una carne morbidissima, gustosa, molto appagante al palato. Anche la scelta del vino, inizialmente difficoltosa in quanto mancante delle bottiglie richieste si rivela degnamente azzeccata. Degustiamo un Saint Joseph del 2005 del domaine Fouriel, dal colore rosso rubino carico con riflessi violacei sull'unghia, più bevibile rispetto ai Cote-Rotie del pomeriggio e comunque con una punta metallica inconfondibile e non eccessivamente invadente ma caratteristica. NelSaint Joseph, l'uva matura meno bene che nell'Hermitage e i vini sono meno intensi. Sono vini da bere giovani con una longevità massima che non supera mai i 10 anni.

La serata si chiude alla ricerca del caffè perduto, di un espresso fatto all'italiana che abbia anche la funzione di scaldarci, in una notte di sicuro fredda e decisamente umida. Il cielo non dice bene ma la speranza che il giorno dopo possa essere più clemente è l'ultima a morire.

Come diceva il sommo poeta D'Annunzio nella celeberrima Pioggia nel Pineto: "piove sulle tamerici salmastre ed arse, piove sui mirti divini......" anche noi la mattina del 16/04 possiamo dire:" piove porca p.............!!!!!

Giornata dal sapore autunnale, vagamente foscoliana, intrisa oltre che di pioggia, di riflessi nostalgici ispiratori di un viaggio introspettivo e non di un viaggio enologico. In pratica viene a catinelle e fa freddo!!!! 

Facciamo colazione e pensiamo al da farsi. Abbiamo fatto 500 km per farci soccombere dalla pioggia? Non sia mai. Sono in questi momenti che ci sovviene un famoso verso della commedia dantesca in cui Ulisse recita:" fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" e allora seguiamo la nostra sete di conoscenza enoculturale e mettiamoci in auto alla volta della mitica Chapelle.

Quando penso al vino, immancabilmente penso alla Bibbia e ai molteplici riferimenti sparsi nei disparati libri dei profeti nell'antico testamento fino agli evangelisti nel nuovo. Il vino è sempre presente; dalle nozze di Canaa, una delle tre manifestazioni di Cristo assieme all'Epifania e al Battesimo nel Giordano, alle parabole in cui il Signore si associa alla vite e noi suoi figli ai tralci, sino all'ultima cena dove Gesù prese il calice contenente vino, emblema del suo sangue da lì a poco versato..... Sono arrivato alla conclusione che il vino è qualcosa di speciale, di mistico e rappresenta quel dualismo che da sempre caratterizza la vita dell'uomo. E' materialità ma anche spiritualità, ha effetti benefici se assunto con moderazione e fa male se ne viene abusato, è l'unione della forza della natura e dell'artificio dell'uomo; inoltre i romani dicevano "in vino veritas" ed in questa frase è concentrata la più potente metafora enologica. Qualcuno ha scritto che gli antichi avevano intuito quale fosse il paradosso dell'essenza della verità: la verità non è qualcosa che ci rende salvi e ci mette al riparo dal male, bensì qualcosa che abbraccia entrambi gli opposti. Ci espone al pericolo, ci spinge ad essere ambivalenti come il vino. Più beviamo e più siamo presi da una forza che ci fa sentire passivi, ma allo stesso tempo più liberi. Più siamo liberi e più siamo sinceri, quindi più veri. Forse è l'unico momento in cui, pirandellianamente parlando, gettiamo la maschera riuscendo a superare le opposizioni e le contrapposizioni ideologiche stimolando con il prossimo la vera socializzazione che va oltre qualsiasi schieramento. Egoisticamente parlando, per assurdo, quello che mi dà un po' fastidio è che il vino negli ultimi anni stia diventando un fenomeno di massa, troppo spesso volgarizzato ed inflazionato, associato ad un esibizionismo enologico fuori luogo. Così, anche la "Chapelle" luogo etilogicamente mistico incarna il dualismo di sacro e profano.

Il panorama visto dalla Chapelle sulla collina dell'Hermitage


Posta sulla sommità della collina di Hermitage, è ben visibile dalla N7, ancora meglio di notte in quanto illuminata come una candela votiva. La Cappella, fu costruita nel XIII° secolo su resti di antiche vestigia romane, da un crociato di ritorno dalla terra santa, che, una volta gettata la spada intrisa di sangue innocente, visse da eremita su queste colline dando origine etimologico al luogo: eremita=Hermitage.

In seguito, furono i benedettini a curarne il mantenimento e nel XVII° secolo un altro frate, sempre eremita, iniziò quasi per  caso a coltivare la vite per produrre vino da offrire ai viandanti ed ai pellegrini di passaggio. Ben presto, grazie alla fama del vino che veniva prodotto, la "Chapelle" assurse a luogo di cultoenologico ed emblema del vino Hermitage conosciuto ormai in tutto il mondo.

Ci si arriva per una stradina tortuosa che sale da Tain l'Hermitage passando per la Cave de Tain (cantina  sociale) e per viottoli che a poco a poco che si sale si restringono sempre più sino a trasformarsi in sterrato, ripido e con avvallamenti più adatti ad un fuoristrada. Con la Toyota Corolla Verso dobbiamo fermarci a una distanza di circa 200 metri in linea d'aria dalla Chapelle onde evitare di rimanere intrappolati ; scendiamo e sotto una pioggia battente ci dirigiamo a piedi circondati da immensi vigneti che ci scrutano quasi fossero a difesa del mito. 

In questi istanti, mi sento sempre come Indiana Jones che dopo anni di spasmodica ricerca raggiunge l'obiettivo ed in qualche modo si sente svuotato, appagato o forse rapito da una forza misteriosa che ne offusca la mente e lo fa sentire impotente di fronte alla bellezza della natura. Così mi sono sentito sulla sommità della Chapelle guardando verso l'orizzonte ed ammirando un panorama veramente incredibile; praticamente una cartolina vivente dove il corso del Rodano si scorge per svariati chilometri. E' come se avessimo per le mani una cartina della regione, una vista meravigliosa. Peccato per la pioggia e per la luce sicuramente non ideale. La cappella è videosorvegliata ed i lati della stradina adiacente sono cosparsi di cespugli di lavanda che farebbero impazzire mia moglie.  

Il sentiero che porta alla Chapelle


Zeppi d'acqua, rientriamo in auto e con qualche peripezia ci dirigiamo verso la Cave de Tain per iniziare verso le 10,00 del mattino le nostre degustazioni.Paolo, in cuor suo prevede che il tempo cambierà in meglio nel pomeriggio e giura di ritornare alla Chapelle utilizzando una luce migliore per suggellare il tutto con stupende fotografie che faranno bella mostra nelle nostre modeste cantine.

La cantina sociale di Tain-L'Hermitage, la Cave de Tain non è equiparabile alle nostre cantine sociali sparse sul territorio italiano. Più che una cantina oserei definirla una boutique, un atelier del vino dove le bottiglie sono poste in maniera ordinata su apposite scaffalature, accompagnate da fotografie e didascalie rigorosamente madrelingua. Nel layout della cave c'è un misto di moderno tecnologico associato alla tradizione enologica contadina, un mix di passato-presente-futuro del vino. La degustazione è gratuita, ed il personale, rigorosamente giovane è a completa disposizione. Per assurdo potresti bere l'impossibile, basta chiedere educatamente. 

Non è mai semplice iniziare a degustare di mattina, dove l'unico senso veramente sviluppato è la vista, mentre l'olfatto ed il gusto sono per così dire ancora un po' sopiti. Tra l'altro, come diceva il compianto Mario Soldati, un vino viene maggiormente apprezzato se associato al cibo. L'unica cosa che possiamo fare è come sempre quella di mettere sotto i denti, prima e dopo ogni degustazione, del pane o dei grissini e comunque cibo neutro che non vada ad alterare i sapori del vino. 

Le bottiglie da degustazione sono poste in apposite cantinette refrigeranti alla giusta temperatura, ovviamente bianchi da una parte e rossi dall'altra. Come appreso nelle ormai lontane e mitiche lezioni del corso di degustazione fatto con l'enoteca Longo di Legnano (MI), iniziamo dai bianchi, ovvero in sequenza assaggiamo l'Hermitage bianco tradition ed il cru Au coeur des Siecles" gradazione 14,0°vol.; zio Mario richiede anche uno spumante esclusivamente adatto come aperitivo che non incontra il gusto, forse troppo impalpabile. 

Siamo incuriositi e forse ci creiamo troppe aspettative in quanto essendo bianchi e quindi privi di tannicità e speziatura dovrebbero incarnare qualcosa di speciale. Direi che sono vini più comuni rispetto ai rossi, pieni e secchi, prodotti con uve Marsanne e Roussanne che a volte possono resistere in bottiglia anche una decina d'anni; la particolarità è che anche i bianchi registrano quella punta metallica che si sente come retrogusto, un po' amaragnola. D'altra parte il terreno è lo stesso, granitico e minerale. Siamo sperimentatori ed acquistiamo il cru che lasceremo adagiato nella giusta posizione in cantina e fra qualche anno gli tireremo il collo, accompagnandolo con pesce di lago o di fiume. Passiamo ai rossi, ovvero all'Hermitage rouge 14,0° Vol. ed al Saint Joseph già sperimentato la sera precedente. Direi nulla di nuovo, nel senso che incontriamo per l'Hermitage quella tannicità più volte sottolineata, associata a sentori speziati, a tabacco e a quel gusto metallico per certi versi fastidioso e dal colore rosso cupo, intensissimo già ritrovato nei vini della Cote-Rotie, mentre il Saint Joseph si presenta con un colore leggermente più scarico e di sicuro con una beva più semplice, ancorchè di corpo. Non possiamo esimerci dall'acquisto, speranzosi per quanto riguarda l'Hermitage, di rivalutarlo nell'arco di un lustro.

Come fossimo al supermercato, riempiamo il nostro carrello di scatole di vino marchiate Cave de Tain e comunque soddisfatti usciamo constatando che la pioggia non ne vuol sapere di cessare. Siamo un po' disorientati, non tanto dall'alcool che tenta di offuscarci le menti, quanto sul da farsi, rimanendo fiduciosi sul tempo che secondo noi dovrebbe mettersi al meglio. Mai previsione fu così giusta tanto che nel primo pomeriggio, finalmente spiove. Ritorna per magia quel tanto odiato mistral  che spazza le nuvole minacciose, squarciando il cielo che si tinge di un bel colore azzurro. E' un'altra vita. Non indugiamo e ritorniamo per la via tortuosa che ci riporta alla Chapelle per riscattare altre fotografie con una luce ben differente.

Pur guidando, cerco di guardare meglio i vigneti che si susseguono morfologicamente ondulati come se si muovessero in un mare accarezzato dolcemente dal vento. Attraversiamo una stradina e siamo quasi soffocati, stretti da parte a parte da vigneti e da viti che sembrano tanti piccoli ragni che si avvicinano minacciosamente per eliminarti. A proposito di vento, è talmente fastidioso che ci induce a risalire in auto direzione Gervans. 

Mentro stendo questo memoriale, guardo l'orologio, sono circa le 23,00 e per ritrovare l'ispirazione, mi bevo un bicchierino di Albana di Romagna di Chiarli , del 2006 e per incanto mi ritrovo sulla N7 che ci sta portando verso il paesino di Gervans dove nel pomeriggio dovremmo incontrare il Domaine des Martinelles. Ho parlato al condizionale, in quanto è l'unico produttore che non ha risposto alla mia mail. C'era forse il motivo, in quanto il Domaine è disabitato e dopo almeno tre tentativi al campanello dell'abitazione, rinunciamo e un po' seccati riprendiamo l'auto non prima di aver constatato che nella buca delle lettere c'era posta non ritirata, risalente al natale precedente. Mistero. 

Chi ci conosce, sa che non ci lasciamo abbattere facilmente ed è nostra intenzione non lasciare Gervans senza aver degustato il Crozes-Hermitage di una qualsiasi cave che avremmo scelto solamente dando retta al nostro istinto. A differenza dell'Hermitage fatto esclusivamente con Sirah in purezza, al Crozes-Hermitage si aggiungono anche piccole quantità di uve bianche che contribuiscono a dare profumo e leggerezza ai vini. Optiamo con una certa titubanza per il domaine Fayolle  Fils e Fille sito in una viuzza stretta all'interno di un cortile ben curato con a guardia un paio di cani di razza bastard per dirla alla francese che ci abbaiano famelicamente facendo degnamente il proprio lavoro. Al latrare dei cani, si presenta al nostro cospetto madame Celine Nodin che ci accoglie e ci invita a visitare la cantina che ha più di 200 anni. Antistante la cantina, la sala di degustazione con numerose foto rappresentanti la cave ed altre che illustrano il mestiere del vignaiolo. E' presente inoltre un'esposizione di quadri su temi differenti. La signora Nodin, è di animo buono, gentile, affabile e conversa con entusiasmo indicandoci i vini da degustare che in ordine sono il Crozes-Hermitage bianco del 2008 di 13,0°vol. che si presenta di colore giallo paglierino scarico, fruttato, leggermente sapido e con note minerali , da accostare esclusivamente con piatti di pesce d'acqua dolce ed a seguire il Crozes-Hermitage-Clos le Cornirets, annata 2007 sempre di 13,0°vol., punta di diamante della cantina che si presenta di colore rosso rubino intenso, più bevibile rispetto all'Hermitage, con un'astringenza meno marcata, con sentori speziati e punta di tabacco sul finale. Acquistiamo, conversiamo ancora un po' parlando di alcuni vitigni che fanno la storia italiana e ci congediamo di sicuro soddisfatti. 



In cantina al Domaine Fayolle

La giornata, iniziata nel peggiore dei modi, con un acquazzone interminabile, ha pian piano cambiato registro affidandoci nuove ed importanti esperienze gustative che ci hanno permesso di inquadrare un vino come l'Hermitage, di sicuro non facile sotto tutti gli aspetti, ma che col tempo riusciremo ad apprezzare solo se avremo la costanza di saper attendere. Ma questa è una caratteristica che ci contraddistingue e che nel campo enologico è basilare e noi lo sappiamo. Siamo a metà strada; il giorno seguente ci attenderà il trasferimento ad Orange con la visita a Chateauneuf du Pape per l'assaggio del vino omonimo ed a Cairanne, piccolo paese sul quale puntiamo moltissimo che ci offrirà il Cotes du Rhone. Prima però, ci attende la serata con la possibilità di gustarci una buona cena. 

"Non tutte le ciambelle escono col buco!!", mai proverbio fu così azzeccato. Il primo giorno, nel ritorno da Ampuis, avevamo notato un locale della catena Buffalo Grill già positivamente sperimentato in Borgogna ed in Alsazia; specialità carne. Decidemmo di andare sul sicuro. La serata partiva male a iniziare dal tempo che in lontananza non faceva presagire nulla di buono, inoltre, facevamo male i nostri conti pensando che il luogo fosse distante non piu' di un quarto d'ora da Tournon, mentre dovemmo percorrere almeno 35 km. Per non sbagliare ordinavamo 3 bisteccazze di manzo senz'osso con contorno di patatine fritte. Purtroppo la carne non era tenera come quella della sera precedente e lo zio Mario fu quello che subì le peggiori conseguenze, in quanto inizialmente gli portarono una bistecca bruciata, sostituita con un'altra che, oltre ad essere grassa era anche duretta e mal cotta. Consoliamoci dicendo che la birra era fresca e la compagnia era ottima. Capita anche questo, ma sappiamo che fa parte del gioco. Con filosofia, rientravamo al nostro albergo col pensiero fisso ad Orange e alla nostra ultima giornata che si presentava faticosa in quanto di sicuro piena di eventi e di sensazioni gustative non facili. 

Il mattino seguente, gagliardi più che mai, dopo una robusta colazione, ci dirigemmo con la nostra affidabile Toyota Corolla alla volta di Orange, dove avremmo alloggiato all'Hotel le Glacier. Orange si trova esattamente a sud di Tournon percorrendo una distanza di circa 120 km per la maggior parte autostrada. E' venerdì, non c'è molto traffico e nel giro di un'ora e un quarto arriviamo a destinazione.

Una piazza di Orange la sera.


Orange è una ridente cittadina caratterizzata da un centro storico interdetto agli autoveicoli percorso da caratteristiche viuzze brulicanti di graziosissimi negozietti e ristorantini. Siamo in Provenza. Per certi versi notiamo che le persone abbiano aspetti somatici un po' diversi ed anche il modo di approcciarsi sembra più loquace di quanto riscontrato nel territorio della Cote-Rotie/Hermitage. Di sicuro, quello che notiamo è che ad Orange, le donne sono decisamente più belle a cominciare dall'addetta al casello dell'uscita dell'autostrada che ci ha letteralmente stregato con gli occhi di un azzurro intensissimo. Paolo per le donne di Orange ha coniato il termine ormai entrato nella storia, ovvero "la gnocc". Tralasciando l'aspetto ludico, Orange è famosa per il suo anfiteatro romano. 

Lo stupendo anfiteatro di Orange con il muro di scena.


Visto che gli appuntamenti sono entrambi nel pomeriggio, non perdiamo l'occasione di visitarlo per associare al vino anche un pò di storia, anzi di nostra storia visto che parliamo dei  romani. L'anfiteatro è del primo secolo dopo Cristo, costruito sotto il regno dell'imperatore Antonino. E' affascinante per molteplici aspetti. Il primo e forse il più importante è dato dal fatto che conserva ancora intatto il muro di scena, tra l'altro è uno dei rari esemplari rimasti; conteneva fino a 10.000 spettatori e per certi versi si trattava di una struttura per così dire moderna, ovvero molto avanti rispetto agli standard dell'epoca. Lo visitiamo con l'ausilio di ricevitori che, nella nostra lingua madre ci spiegano la storia dell'anfiteatro e di come si svolgevano gli spettacoli che molto spesso iniziavano all'alba per terminare al tramonto. Soddisfatti, usciamo, vagabondiamo per le vie di Orange sino a raggiungere l'ora di pranzo. 

Consumato il pasto senza incorrere in ulteriori inconvenienti preserali, ci concentriamo su quella che sarà la nostra prima destinazione pomeridiana, ovvero Chateauneuf du Pape. La distanza che ci separa è di solo una decina di chilometri, ma quello che ci appare è di sicuro affascinante. I vigneti che costeggiano la strada che ci porterà a destinazione sono impiantati su uno spesso strato di ciotoli, lisci e levigati che hanno un duplice compito, di giorno assorbono il calore del sole e di notte lo rilasciano alle piante. Altra funzione importante è il drenaggio, ovvero l'acqua piovana scorre via rapidamente, andando in profondità. 

Gli incredibili vigneti a Chateauneuf du Pape


Tra l'altro i ciotoli sono cosi' fitti che in alcuni vigneti non lasciano intravedere mai la terra. Visivamente sono uno spettacolo!! Non ci era mai capitato di osservare vigneti formati da terreni ghiaiosi e da depositi alluvionali, una caratteristica unica di sicuro impatto. Tra l'altro, la luce del sole rilascia stupendi effetti con riflessi diversi a seconda dell'intensità del colore dei ciotoli.  Qui, il sole picchia forte e le viti sono coltivate ad alberello, alte meno di un metro, con i grappoli d'uva raccolti al centro come se cercassero riparo dagli eventi atmosferici, in principal modo dall'azione del Mistral. In lontananza, le rovine del castello trecentesco, fatto costruire da papa Giovanni XXII° nell'esilio avignonese, come residenza estiva, preannunciano la vicinanza del vilaggio di Chateauneuf.  Facciamo una capatina a quello che rimane del castello e con la mente ed un po' di fantasia cerchiamo di immaginarne le reali dimensioni.

Sullo sfondo le rovine del castello di Chateauneuf du Pape ed i vigneti intorno.


E' un vero peccato che per tre quarti sia stato distrutto, tra l'altro notiamo evidenti segni di bruciature che non lasciano dubbi su quanto possa aver subito oltre agli usuali saccheggi dell'epoca. Scendiamo al villaggio che indubbiamente è fondato sul vino; è letteralmente pieno di cantine che si susseguono una dopo l'altra con insegne che esortano alla degustazione e all'acquisto. Sono quasi tutte concentrate nel centro del paese ed è quasi imbarazzante, per il turista medio, cercare di capire quale sia la miglior cantina per degustare ed acquistare a buoni prezzi. Non considerandoci tali, avevamo programmato tutto quanto prendendo appuntamento con il domaine Bosquet des Papes che si trova  poche decine di metri dopo ll cartello indicante la località di Chateauneuf.  Lo Chateauneuf du Pape è un vino particolare perchè può essere prodotto con l'assemblaggio di 13 uve diverse, anche se le principali restano lo Sirah, con  il suo tipico aroma di pepe, il Grenache (alter ego del Cannonau sardo) ed il Mourvedre ed è per questo che in funzione delle uve usate nell'assemblaggio i vini possono essere molto diversi tra di loro.Siamo in perfetto orario e come ormai ci compete, parcheggiamo l'auto all'interno del domaine e suoniamo al campanello della cave in attesa che qualcuno ci apra. Per l'ennesima volta ci compare una donna, over 40 di gradevole aspetto. E' doveroso sottolineare che sin qui la presenza femminile ci ha accompagnato in questo viaggio enologico; abbiamo notato, che in terra transalpina, alle donne compete fare gli onori di casa, sbrigando nel contempo quella che potremmo definire la parte amministrativa, mentre gli uomini rimangono a faticare in vigna. Dobbiamo anche rimarcare la competenza e la spiccata sensibilità enologica del sesso forte che per certi versi non ci stupisce ma che conferma che nell'ultimo decennio, per fortuna, l'affare vino non compete solo agli uomini.

Leggiamo negli occhi della madame un piccolo imbarazzo legato al fatto che si fosse dimenticata della nostra visita, ma ciò non ci preclude la possibilità di visitare la cantina nè tantomeno di effettuare le degustazioni programmate da tempo.  Iniziamo con il  chateauneuf blanc annata 2008, un vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli sull'unghia, seppur giovane, strutturato, di corpo e molto profumato, rappresenta forse il miglior bianco assaggiato nel girovagare nella valle del Rodano, un bianco prodotto da uve Roussanne un po' ruffiane che in qualche modo sanno come sedurti. Passiamo poi in sequenza al chateauneuf rouge tradition 2006, alla cuveè grenache 2005 ed al cru chante le Merle del 2004. Cogliere le differenze tra questi 3 vini non è di sicuro facile, ma ciò che notiamo come comune denominatore è, al di là del colore di un rosso intensissimo quasi impenetrabile, la miglior bevibilità in quanto lo sirah viene ammorbidito dal Grenache che si dimostra essere un gran vitigno. Al naso e al palato frutta rossa matura e punte speziate, di sicuro molto più delicate che nella cote-rotie/hermitage. Sono anche molto alcolici visto che quanto degustato va dai 13,5°vol. del bianco ai 14,5°vol. dei rossi. Lo chateauneuf è di sicuro un vino che incontra il nostro palato, che può essere invecchiato, forse meno dei vini del nord ma che ci darà grandi soddisfazioni. Acquistiamo.

Interno del Domaine Bosquet des Papes


 il tempo di scambiare ancora qualche impressione con la madame e sotto un sole cocente, ci rimettiamo in cammino verso Cairanne dove ci attende il vigneron Marcel Richaud per poter degustare il cotes du Rhone. Mettiamo sotto i denti qualche tarallo visto che quanto bevuto ci ha un po' tramortito; pur essendo abituati a degustare, ma soprattutto a come farlo, non siamo immuni dagli effetti dell'alcool nonostante assunto con moderazione, ma forse associato ai primi caldi pomeridiani ci mette un tantino in difficoltà. Io, alla guida dell'auto mantengo comunque la concentrazione, mentre Paolo e lo zio,per alcuni minuti non si sentono. Secondo me sono ancora in contemplazione degustativa!!!

Nella vita mi è capitato di rado di dover incontrare una persona che dopo poche decine di minuti mi abbia dato la sensazione di conoscerla da sempre, attratto da una forza così carismatica da esserne quasi soggiogato. In campo enologico mi era già successo con il povero Teobaldo Cappellano e mentre mi recavo a Cairanne, villaggio a circa 20km. da Orange, non sapevo che avrei provato la stessa sensazione con il vigneron Marcel Richaud.

Sono le 23.29 di un sabato sera mentre scrivo queste mie esperienze; prima di parlare di Marcel Richaud, sento il bisogno di assaporare un bicchiere di Botrugno, vino passito fatto con malvasia nera di Brindisi dal color rosso rubino, profumo fruttato d'uva, sapore dolce e gradevole. Ho bisogno di ispirazione in quanto parlare del vigneron Richaud è come assurgerlo ad emblema di questo viaggio o più specificatamente della vallèè du Rhone. 

Ad essere sinceri, le cose non si erano messe sotto i migliori auspici. Arrivati al domaine, ci trovavamo in compagnia di una famiglia tedesca e di una piccola comitiva francese. Venivamo fatti accomodare in un'ampia sala piena zeppa di tavoli circolari posti appositamente per le degustazioni. Per certi versi sembravamo al circolone, dove ci avrebbero servito una quantità immane di vino e la cosa ci stava dando molto fastidio; eravamo arrivati sin qui esclusivamente per assaggiare il Cairanne blanc e soprattutto il Cotes du rhone l'Ebrescade. In qualche modo, avevamo attirato l'attenzione della moglie del vigneron la quale, una volta saputa la nostra nazionalità si stupiva che degli italiani si fossero spinti sin a Cairanne cosa molto rara e soprattutto che avessimo parcellizzato le degustazioni solo su un paio di vini. La cosa non passò inosservata anche al Richaud, il quale, ben presto, si accomodò al nostro tavolo ed iniziò ad intavolare una piacevole conversazione. Marcel, è il primo vigneron francese da noi conosciuto, aperto allo scambio enoculturale. E altresì uno sperimentatore alla continua ricerca di un'evoluzione personale, attaccatissimo alla sua terra, al proprio lavoro e ce lo trasmette con un entusiasmo fuori dal comune. Un vigneron portabandiera della tradizione alla stregua dei grandi compianti langaroli Bartolo Mascarello e Teobaldo Cappellano, con un'ampia visione che ingloba il passato per poter viver al meglio il presente gettando le basi per il futuro. Un produttore non legato alle mode del momento nè tantomeno ai celebratori dei vini internazionali, ma bensì estimatore del vino autoctono, fine conoscitore e perseguitore della biodinamica, coerente con sè stesso e con gli amanti del buon vino. La sua parola d'ordine può essere sintetizzata in: terra, terra e ancora terra, nel senso che non si accanisce, non ricerca equilibri forzati, non chiede alla terra qualcosa che non può dare.  Quello che più mi ha colpito è che si è definito un amatore ponendosi al nostro livello. A proposito, il suo Cotes du Rhone l'Ebrescade, assemblaggio in parti uguali di sirah, grenache e mourvedre  è qualcosa di meraviglioso, a cominciare dal colore di un rosso cupo impenetrabile e dalle profumazioni accentuate di frutta rossa, al palato si ripropone la frutta , polposa quasi surmatura con una suadente avvolgenza di alcool, di giusta acidità, un vino complesso, carnoso, armonico ed ammaliante.

Parlando a ruota libera, Marcel Richaud uscì con una frase che per Paolo fu come paragonarla alla folgorazione dell'omonimo santo sulla via di Damasco, oppure alla divisione del mar rosso da parte di Mosè o alla visione di San Pietro con le chiavi del  paradiso, ovvero: "J'aime un cepage italien tres difficile a travailler. Il s'appelle Nebbiolo" (amo un vitigno italiano difficile da lavorare che si chiama Nebbiolo). Fu l'apoteosi, aveva sfondato una porta aperta facendo breccia, come se avesse scavato un tunnel che unisse la Francia all'Italia e che finalmente vedeva la luce. Paolo, rinomato cultore del vitigno nebbiolo e soprattutto del re dei vini, il Barolo, non stava più nella pelle; bastò un cenno d'intesa e come per magia tirò fuori dallo zainetto una bottiglia di Barolo tenuta Rocca da offrire quale nostro omaggio al vigneron Richaud. Meravigliato e felice per il nostro gesto ci invitò a seguirlo nella cave per degustare altro Ebrescade non ancora in produzione ovvero le annate 2007 e 2008 tra loro diversissime, ma che lasciavano intravedere una magnifica evoluzione. 

All'interno della cantina si balenava ai nostri occhi il suo fido collaboratore, un giovinastro che abbiamo paragonato al gobbo di Notre Dame in quanto balzava  da botte a botte come il personaggio della storia,  da una campana all’altra, una macchietta, fine assaggiatore dall'occhio vispo o forse per meglio dire alcolico. L'impostazione di questi vini è quella della biodinamica, senza filtrazioni, senza chiarificazioni, senza aggiunta di solfiti, solo esclusivamente una piccola equilibratura nel passaggio dalla botte grande alla barrique, tra l'altro usata con molta maestria. E' stata una esperienza unica assaggiare la diversità dello stesso vino ancora in tini d'acciaio o in botte, rispetto a quello nelle tonneau da 600 litri; vino spillato dal Richaud con la pipitre e versato direttamente nel calice da degustazione. Il vitigno che di sicuro gioca un ruolo fondamentale è il Grenache che io definirei l'equilibratore dello sirah e che oltre a dare lo stupendo colore, di sicuro dona all'assemblaggio quella morbidezza e quella complessità di struttura caratteristica dell'Ebrescade. Richaud va a ruota libera. In cantina emerge tutta la sua passione e l'entusiasmo che lo contraddistingue. E' un uomo che non fa calcoli e che nel discutere fa emergere i suoi punti fermi, ti coinvolge e ti mette nel bicchiere i suoi dubbi, le sue idee, i suoi sogni e le sue certezze. Incontrare Marcel Richaud è stata un'esperienza bellissima, la ciliegina sulla torta di questo viaggio che si chiude nel migliore dei modi. Tralascio il seguito della giornata che volge al termine così come la nostra esperienza transalpina e con un po' di nostalgia ci accingiamo a ritornare nel bel paese.

Personalmente torno arricchito sia per aver conosciuto nuovi vini e nuovi vitigni, uno su tutti il Grenache, che ha rappresentato per me la vera sorpresa ma anche per aver condiviso l'umanità e la sensibiltà dei vignerons e del terroir della Valle del Rodano. La mente va già al 2010 ed al prossimo viaggio che sarà entusiasmante come i precedenti….. ma c'è ancora troppo tempo per l'attesa e di sicuro sarà anche un'altra storia. 

A Tournon sur Rhone  e sullo sfondo la collina dell'Hermitage in un'atmosfera un pò noir......