Percorrendo il tragitto che ci avrebbe riportato a casa, dopo l'ennesima avventura enologica in terra alsaziana, prendemmo la saggia decisione di proseguire il nostro viaggio, alla ricerca dei vini genuini, nella cara e amata terra italiana. Destinazione il Friuli con le rinomate zone del Collio e dei Colli Orientali.

Chi ci conosce, potrebbe arricciare il naso e farsi assalire da dubbi amletici e di certo sarebbe tentato di chiederci come mai degli adepti del vino rosso strutturato e di corpo, come noi, vadano alla spasmodica ricerca dei vini bianchi friulani. La risposta è molto semplice: il vino, bianco o rosso che sia è uno dei prodotti più sinceri legati alla terra, frutto di un meraviglioso equilibrio tra natura e cultura. La conoscenza, l'assaggio, l'essere, come asseriva il buon Mario Soldati, degli amatori inesperti, vanno oltre il suo colore ed è proprio perchè non li conosciamo a fondo nelle caratteristiche peculiari, che vorremmo ampliare la nostra sete di cultura enologica. C'e' anche un'altra verità: alcuni vini friulani sembrano rossi camuffati da bianchi.

Per organizzare una spedizione, bisogna essere sul pezzo e non solo metaforicamente, tanto che, in una fredda serata invernale davanti ad un bicchiere di Tocai (tanto per restare in tema) accompagnato da un buon formaggio, si studiava, con dovizia di particolari, il percorso ed i produttori che avremmo voluto visitare. E' un lavoro certosino, per molti versi difficile, soprattutto per noi che ricerchiamo non i produttori altisonanti, nè tantomeno il prodotto su scala nazionale, ma piccoli produttori di qualità dai quali possiamo accrescere le nostre esperienze, attraverso un dialogo non solo tecnico, ma soprattutto di vita vissuta.

E dire che ho rischiato di non esserci a causa di un incidente stradale occorso solo una settimana prima della partenza che, probabilmente, ha interrotto per sempre la mia "carriera" ciclistica (la mia bici Carrera con forcella in carbonio tranciata in due!!! Ed io pieno di lividi!!). 

Mi piego, ma non mi spezzo e nonostante il dolore alla mano sinistra segnata da 3 punti, al fianco sinistro intriso da un echimosi di vari colori, al ginocchio sinistro, al gomito sinistro  ed al femore destro, riesco ad unirmi ai miei compagni di ventura e con l'ausilio della comoda Suzuki Grand Vitara del fidato Paolo, ci apprestiamo a vivere una nuova avventura, sperando nella buona riuscita della spedizione.

Piove. Il tempo è inclemente. Le previsioni scaricate da internet, da diversi siti, non sono delle migliori, di sicuro per tutto il 23 aprile non si vedrà uno spiraglio di sole, mentre per i giorni seguenti dovrebbe esserci un buon miglioramento. Ah, caro indimenticato colonnello Bernacca, come erano belli i tempi in cui le previsioni lasciavano una variabile imponderabile, al contrario della noia dei modelli matematici e dei sofisticati satelliti che oggi, purtroppo, non sbagliano di una virgola!!

Non ci lasciamo certo scoraggiare. Partiamo intorno alle 7.00 del mattino e percorrendo il tragitto autostradale della A4, dopo una breve sosta in un Autogrill infestato da una comitiva di attempati tedeschi, che monopolizzavano barbaricamente la cassa, verso le 11.30,  giungevamo a destinazione all'Agriturismo "Lis Rosis" di Medea

Il bel Agriturismo Lis Rosis


Medea è un paesino di 950 anime, punto strategico, crocevia per diverse destinazioni; a mezz'ora di auto si può raggiungere Gorizia a sud-est, oppure Udine a nord-ovest e per quel che ci riguardava, nel giro di qualche chilometro la zona del Collio e di qualche decina di chilometri, quella dei Colli Orientali.

Ad attenderci a destinazione i titolari dell'agriturismo, Andrea e Donatella Felchero, l'emblema dell'ospitalità friulana; gente semplice, legata al proprio territorio, alla tradizione contadina, alla famiglia, alla cultura ed alle proprie radici. Una bella realtà familiare completata da due figlie piccole, da una suocera e da un cane, buono come il padrone. La scelta è stata azzeccata. L'agriturismo ha solo due anni e mezzo di vita, l'immobile è ben curato e la camera assegnataci è molto spaziosa, gradevole e confortevole con travi a vista, dotata di un bagno grande e di un piccolo terrazzo. Tv satellitare e bottiglie di acqua omaggiate per la notte. Pulizia ovunque.

Sulla parete principale dello stabile campeggia lo stemma dell'agriturismo, ovvero le rose, disegnate egregiamente da un amico di famiglia dall'innato talento artistico.

Attiguo al complesso principale, la parte dedicata all'allevamento di 10 maiali, di animali da cortile e allo spaccio di articoli vari di produzione propria, quali insaccati esclusivamente di maiale, miele e soprattutto l'asparago bianco coltivato dalla famiglia Felchero su diversi ettari di terreno confinanti con la struttura.

Il tempo di registrarci, di scambiare alcuni convenevoli con il titolare, molto affabile e chiacchierone, di lasciare il nostro scarno bagaglio in camera e poi, sotto una pioggia battente ed incessante ci dirigiamo verso Cormons per mettere qualcosa sotto i denti. Causa il tempo perturbato, la piccola cittadina di Cormons è quasi deserta, si sente solo il crepitio fastidioso dell'acqua che non ne vuol sapere di darsi una calmata; giriamo a zonzo con ombrello al seguito, quasi fossimo cani randagi in cerca di cibo e dopo una decina di minuti ci intrufoliamo in fretta e furia nella "Taberna", ambiente che un tempo sarà stato sicuramente adibito a locanda per rifocillare i viandanti stanchi ed affamati. 

Ci gustiamo una buona tagliata di manzo, servita su un letto di rucola con contorno di patate saltate ed insalata verde, il tutto accompagnato da del vino rosso della casa, bevuto, per le successive esigenze degustative, in moderata quantità. Parliamo delle nostre mogli, a casa e dell'importanza di poter trascorrere da soli, per alcuni giorni questo tipo di esperienze che in qualche modo ti ossigenano, un po' come un buon vino strutturato appena scaraffato nel decanter, che sente il bisogno di prendere aria. Esigenza vitale. Dovrebbero farlo anche loro.

Il primo produttore che ci attende nel plumbeo e piovoso pomeriggio friulano è l'Azienda vinicola Franco Toros situata a Cormons in località Novali a poche centinaia di metri dal confine di stato con la Slovenia; andiamo principalmente per degustare il Tocai, ma non disdegneremo di sicuro anche l'assaggio di altri bianchi.

L'Azienda vinicola Toros

Il Collio è per antonomasia la zona di produzione dei migliori vini bianchi friulani, a differenza dei Colli Orientali, più vocati, eccezion fatta per il Picolit, per i vini rossi. Forse, sarà il tempo, forse sarà la poca gente che incontriamo, sta di fatto che nell'aria avverto una certa malinconia condizionata anche dall'uniformità di colori delle case, esclusivamente a tinte chiare. Uscendo dal caseggiato di Cormons, ci imbattiamo in una stradina, una classica via del vino che ci porta verso i filari e verso la nostra prima destinazione.  Attraversiamo a velocità moderata la stradina costeggiata da parte a parte dai tralci ancora spogli, sui quali compaiono solo le gemme ed una leggera crescita di foglie qua e là. Per quel che mi riguarda, penso che non ci si abitui mai alla vista di una miriade di vigneti, precisi, ordinati, modellati a seconda della morfologia dei terreni, che nella loro immobilità, sembrano scrutare l'inaspettato visitatore che, quasi incautamente, sta disturbando l'evoluzione stagionale che si ripete oramai da millenni; ho sempre l'impressione di essere un intruso che si insinua in una cerimonia sacra nella quale solo il vignaiolo celebrante ha il permesso di accedervi. Devo dire, che è sempre una bella sensazione, un misto di ammirazione nei confronti di un paesaggio e di una natura che mi infonde un senso di tranquillità e pacatezza. Mi sento partecipe di un'opera d'arte. Oltre a sensibilizzare la vista ed in un certo qual modo la mia parte emotiva, che è normale  emerga di fronte a un capolavoro, riesco soprattutto con l'olfatto ed il gusto a fare mia l'opera, come se riuscissi a possederla senza doverla necessariamente acquistarla ad un'asta o peggio doverla vedere per pochi attimi od ammirarla su libri ingialliti. Sarò blasfemo, ma il vino, opera d'arte vivente, mi da la possibilità di replicare l'autore, come fossi il protagonista di un capolavoro che posso possedere con tutti i miei sensi. Forse sto esagerando, forse sto filosofeggiando ma è quello che sento e per questo mi ritengo un privilegiato.

Nonostante la pioggia, che sembra essere diminuita di intensità, il paesaggio è incantevole, i filari sono disposti su terreni pianeggianti e su dolci colline dalle modeste altitudini. Sembrano, come in Borgogna, piccoli battaglioni spiegati in rassegna, allineati e coperti. il colpo d'occhio è davvero notevole. C'è poca luce, ma Paolo non si esimia dall'immortalare fotograficamente quello che letteralmente ci circonda.

Ad aspettarci da Toros, c'è Eva, la giovane figlia del titolare. poco più che ventenne ma di sicuro esperta dell'arte enologica e col piglio di chi sa che a tendere prenderà le redini della conduzione dell’azienda. Con maestria e con buona dialettica ci invita a visitare la cantina, inorgoglita nel poterci mostrare la parte storica risalente al 1.600, nel commentarci l'evoluzione negli anni e la variegata produzione di qualità.  Notiamo una grande pulizia ed ordine sinonimo di professionalità. Una disponibilità ed una accoglienza molto buona, chiaro sintomo di chi, al di là dell'aspetto puramente commerciale, ha la predisposizione, ma soprattutto l'orgoglio di mostrare quello che è il frutto del proprio lavoro. 

Ritorniamo dopo una decina di minuti in quella che definiremmo la sala delle degustazioni, nella quale, siamo invitati a chiedere quello che vorremmo assaggiare. Iniziamo con il Tocai Friulano 2006, cavallo di battaglia dell'Azienda, dal colore giallo tenue con riflessi verdognoli e con profumi floreali intensi, al palato di buona struttura, morbido, asciutto con retrogusto mandorlato, con una leggera vena amarognola sul finale e che stupisce per una lunga persistenza aromatica.  Mario, si esalta e lo paragona a qualcosa di sublime, di corroborante, a tratti di un portentoso digestivo.   Passiamo al Sauvignon 2007, gradevole con profumi nettamente floreali di gelsomino ed al palato con una netta sensazione sapida , un vino di buona fattura particolarmente gradito da Paolo. Finiamo con il Pinot Bianco, anch'esso floreale ed in bocca molto minerale. Per il momento può bastare, la cantina Toros è stata una giusta scelta, acquistiamo 12 bottiglie di tocai ed un paio di bottiglie di Pinot e Sauvignon. 

Soddisfatti per aver iniziato con il piglio giusto la serie degustativa, ci concediamo un doveroso giro tra i vigneti, dirigendoci, come ammaliati dal canto delle sirene, verso la direzione che ci avrebbe condotto in una delle aziende più medagliate, grappolate e osannate del panorama vinicolo friulano e soprattutto dalle guide, ovvero Villa Russiz. Nonostante non sia ciò che cerchiamo, la visitiamo dall'esterno scattando alcune fotografie.

Il tempo è stanco di mantenere una connotazione grigia e malinconica. Spiove. Un timido raggio di sole fa un'enorme fatica a fare capolino dietro la cortina di spesse nubi grigie e minacciose, ma ci insinua la speranza che atmosfericamente qualcosa stia cambiando. Speriamo in bene. Se tutta l'acqua scesa dal cielo fosse stata vino, saremmo eternamente ubriachi.

Vigneti del Collio

Non rientriamo direttamente all'agriturismo, ma facciamo una capatina alla Cantina produttori di Cormons e precisamente al punto vendita che si pone in bella vista lungo la strada che porta a Medea. Sono abbastanza perplesso, nel constatare che tra la grande varietà dei vini in vendita ci siano anche quelli non caratteristici della zona del Collio. Mi spiego meglio: Paolo, nella sua preziosa quanto attenta analisi preparatoria del viaggio si era imbattuto in un vino rosso autoctono, recentemente tornato in auge per le sue qualità e per le caratteristiche di vino strutturato dai profumi e sapori intensi con una buona evoluzione nel tempo, un vino mai sentito dal nome un po' strano: il Pignolo. Incuriositi nel vederlo sullo scaffale della cantina, al prezzo di euro 7.85 lo acquistiamo con un duplice intento. Intanto lo assaggiamo e poi lo utilizzeremo come termine di paragone per le successive degustazioni nella zona dei Colli Orientali. Lo stapperemo a cena, con il permesso del sig. Andrea. 

Un po’ stanchi rientriamo per un giusto riposo. Non c'è come una bella doccia calda per rigenerarti, seguita per Paolo da una Marlboro assaporata sul terrazzo, che verso le 18.30 veniva riscaldato da un pallido sole che auspicava solo belle premesse per il giorno successivo. Ingannavamo il tempo prima della cena facendo zapping col telecomando della tv satellitare e andando a fare quattro passi per Medea, che a quell'ora della sera ci sembrava una città fantasma. Troppo silenziosa per le nostre stressate orecchie milanesi. Anche l'unico bar aperto, non emetteva il classico vociare degli avventori della sera. 

La cena al "Lis Rosis" va doverosamente commentata. La sig.ra Donatella, oltre ad essere una formidabile cuoca, aiutata dalla freschezza e dalla genuinità dei prodotti, è la tipica donna di un tempo, che sa stare al suo posto, fine, misurata, garbata e che allo stesso tempo esprime tutta la fierezza delle sue origini e della sua terra. Moglie e madre adatta per il sig. Andrea e per la conduzione di un'attività come la loro. Iniziamo doverosamente con un antipasto nostrano di salame, culatello e formaggio in abbondanza, seguito da un piatto di tagliatelle fatte in case con ragu' di carne e dulcis in fundo il piatto forte ovvero una spadellata di asparagi bianchi con uova sode fresche. Torta, rigorosamente fatta in casa, caffè e una grappa nostrana che avrebbe fatto resuscitare un morto. Non riesco a trattenermi e ne bevo un paio di bicchieri. 

Che felicità!!! Nei cibi semplici, ritrovo la bellezza di questa vita, la genuinità dei rapporti, l'amalgama che si fa sempre più intensa nella condivisione delle nostre passioni per il vino. Oggigiorno, avvolti dal turbinio di questa vita frenetica, stressante e per certi versi logorante, non riusciamo più a fare le cose semplici. Si deve sempre e comunque esagerare, essere alla moda, fare tendenza, primeggiare scavalcando il prossimo, mentre sarebbe opportuno rimanere sè stessi senza farsi condizionare da tutto e da tutti, senza sgomitare per meravigliare, ma soprattutto fare poche cose fatte bene, con semplicità. Il fuoriclasse è colui che ti stupisce con gesta incredibili ma eseguite con disarmante semplicità.

Sto divagando e per non farmi assalire da pensieri troppo introspettivi, mi concentro sull'assaggio del famigerato Pignolo. A onor del vero i piatti cucinati dall'amabile sig.ra Donatella non facevano pendant con l'accostamento ad un vino simile, comunque lo proviamo. Stappato e scaraffato nel bicchiere, si presenta con un colore rosso intenso ma con pochi evidenti profumi. Lo degustiamo, sa di aceto e per educazione lo trangugiamo senza sputarlo in terra; per certi versi mi ricorda l'assaggio in terra borgognona di un giovane e non pronto Pommard che al contrario di quest'ultimo lasciava comunque intravedere una buona evoluzione nel tempo. Siamo consapevoli che quanto assaggiato non sia lo stereotipo del Pignolo e speriamo di aver miglior sorte nelle visite nella zona dei Colli Orientali.

Il mattino seguente, dopo una sana colazione a base di the, succo di mela, yogurt di produzione agrituristica, torte della sig.ra Donatella etc. etc, ci concentriamo per quella che solitamente definiamo la giornata cruciale di tutti i nostri viagg,i ovvero il secondo giorno, strategico e determinante per la completa riuscita della nostra spedizione vinicola.  Per noi è un po' come finire il primo tempo sul due a zero per poi gestire la partita; fino ad ora è sempre andata bene, sperando che la tradizione possa continuare anche in questa terra.

La nostra prossima tappa è l'azienda vinicola La Roncaia, situata nei colli Orientali, nel cuore del territorio vocato all'allevamento dei vigneti del Ramandolo, in un territorio morfologicamente diverso dal Collio. 

Stemma dell'Azienda Vinicola La Roncaia

L'azienda si trova a Nimis a una sessantina di chilometri da Medea; pur situata ad un'altitudine non molto elevata, avvicinandoci a destinazione abbiamo la sensazione di salire in quota più del dovuto. Sarà anche la vista di un paesaggio diverso, per così dire quasi montano, più verdeggiante, con i vigneti intervallati da boschi e da abitazioni caratteristiche sia in muratura, sia in legno. L'ausilio del navigatore satellitare ci aiuta a non perdere tempo e con una precisione, che definirei chirurgica, ci ritroviamo davanti all'entrata principale dell'azienda che, verso le 10/10.15 del mattino sembra deserta. Devo rimarcare che, la caratteristica principale di queste aziende è data dalla pulizia, dalla precisione delle strutture, quasi che nulla sia lasciato al caso e da un'organizzazione ed una pianificazione del lavoro perfetta.  Ad attenderci, un dipendente dell'azienda, acquistata dalla famiglia Fantinel, già rinomata in terra friulana, che ci vuole sottolineare a tutti i costi il sacrificio fatto per poterci mettere da parte 6 bottiglie di Ramandolo dell'annata 2004 ormai in esaurimento. Ce lo sottolinea più volte quasi volesse farcelo pesare più del dovuto ed in un certo qual modo abbiamo la sensazione che ci volesse liquidare con quelle bottiglie senza darci la possibilità di poter fare delle degustazioni. Forse è stata solo una sensazione. Chiediamo e degustiamo.

La produzione della Roncaia è basata su otto diversi vini, principalmente rossi tra i quali non disdegniamo di provare il Fusco, un blend di merlot/cabernet franc/ refosco e tazzelenghe; l'annata assaggiata è il 2006 e si dimostra un vino non pronto, quasi imbevibile dalla notevole tannicità, un vino che dovrà sicuramente rimanere ancora a lungo in bottiglia per ammorbidire l'eccessiva ruvidezza attuale. 

Psicologicamente, siamo qui esclusivamente per i bianchi e per i passiti di ugual uvaggio e ci concentriamo nella degustazione del picolit e del ramandolo. Il Picolit, è per me un'icona, un vino che oserei dire un mito, derivato da un vitigno autosterile, i cui fiori, per poter dare frutto hanno bisogno di essere fecondati dal polline di un altro vitigno piantato nelle sue vicinanze.  Un vino unico al mondo, che qualcuno vuole accostare ad un altro mito, ovvero lo Chateau d'Yquem, anche se differiscono in modo netto. Forse, il vero Picolit non esiste più, visto che ogni anno se ne produce di meno e che spesso viene mescolato con altro uvaggi quali il verduzzo, il tocai e la malvasia. Il Picolit de "La Roncaia" è atipico, fuori dal comune, influenzato dall'esperienza di un noto enologo ungherese, Til Gabor, un luminare nel campo dei Tokaji Aszu magiari, recentemente scomparso per un incidente d'auto, il quale, per alcuni anni ha prestato consulenza all'Azienda. Un vino, che forse, non incontra il gusto italian popolare, dato che la strategia aziendale per i prossimi anni è di ritornare ad un prodotto più tradizionale che possa rispecchiare i gusti ed avvicinarsi ai favori di un pubblico non abituato alle sperimentazioni e agli stravolgimenti di prodotti secolari.

Il colore di questo picolit è già di per sè particolare, molto ambrato, quasi fosse ramandolo con al naso sentori di albicocca surmatura, di confetture e di miele, in bocca pastoso, dolce ma non eccessivamente stucchevole, un vino che data la sua grassezza favorisce una forte salivazione che ti induce a continuare a bere. Mi ha fatto una gran bella impressione e non potevo che acquistarlo. Passiamo alla degustazione del Ramandolo, cavallo di battaglia dell'Azienda, che si presenta anch'esso con un bel colore ambrato non troppo carico, con intensi profumi di albicocca e con note di pasta di mandorle, al palato ricordi di miele, dolce al punto giusto con un retrogusto mandorlato e con un'acidità ben equilibrata. Devo dire che questa azienda ci sa fare e a mio modesto parere rappresenta un bel biglietto da visita di questi Colli Orientali. Anche qui, facciamo provvista a prezzi sicuramente onesti ed orgogliosi della scelta azzeccata, cerchiamo di mantenere lo stesso stand qualitativo dirigendo il nostro mezzo verso la nuova meta ovvero l'azienda vinicola Ermacora. 

Ramandolo: ottimo vino dolce friulano

La giornata è splendida, l'aria è comunque fresca anche se il sole che ormai splende alto nel cielo, intervallato da innocue nubi, tenta di scaldarci togliendoci l'umidità accumulata il giorno precedente. Nel frattempo, ci siamo sintonizzati su quella che è diventata la radio ufficiale della nostra spedizione ovvero Easy network 87.5 fm che trasmette esclusivamente musica anni 80/90, una radio intrisa di malinconica nostalgia, colonna sonora della giovinezza perduta.

L'azienda Ermacora è situata a Premariacco in provincia di Udine, per la precisione in frazione Ipplis, sulla strada che dovrebbe riportarci alla base; stiamo scendendo i colli Orientali ed è una tappa che si dimostrerà utilissima nell'affinamento e nel pieno apprendimento della tipicità dei vini di questa particolare zona. La costante di questo viaggio nel gusto è la presenza femminile; notiamo, con piacere che la donna negli ultimi anni è sempre più presente nelle realtà vinicole con mansioni specifiche e meno anonime e defilate di un tempo. Sono del parere che le donne abbiano una miglior sensibilità e riescono molto spesso a cogliere sfumature gustative precluse all'uomo. Hanno quel sesto senso anche per il vino, il problema è che la maggior parte di loro non beve, ma come direbbe sempre il compianto Mario Soldati:"se le donne non capiscono il vino, la colpa è degli uomini".

Ad accoglierci è la moglie del sig. Dario Ermacora, titolare con il fratello Luciano dell'omonima azienda. Una donna sulla cinquantina, molto gentile e con dei bellissimi occhi azzurri, che ci parla dell'Azienda, dei 22 ettari vitati e dei vini di pregio prodotti. Ci mostra la cantina, i grandi tini d'acciaio e le barriques e ben presto, data anche l'approssimarsi della pausa di mezzogiorno, iniziamo a degustare quanto prodotto dall'azienda, iniziando gli assaggi con il famigerato Pignolo. Ci viene detto che il Pignolo è un vino autoctono da sempre coltivato dai contadini, che nel corso dei tempi hanno troppo spesso privilegiato la quantità alla qualità.  Andato ben presto in disarmo è recentemente tornato agli altari delle cronache enologiche in seguito alla selezione di alcuni cloni ma soprattutto grazie alla pazienza e alla determinazione di uomini come gli Ermacora e i Maschioni che vogliono ripercorrere e mantenere le tradizioni vinicole friulane. Abbiamo un certo timore a degustare questo vino memori dell’esperienza della sera precedente, ma siamo speranzosi e ci buttiamo. L'annata che ci viene proposta è quella del 2003, un'annata inconfondibile che tutti ricordano caratterizzata da un clima torrido che ha dato vita a vini con una componente alcolica ben marcata. Non fa distinzione questo Pignolo di ben 14 gradi dal colore rosso rubino intenso con riflessi violacei sull'unghia, dai profumi intensissimi ed al palato con evidenti tannini non invadenti, erbaceo con toni di spezie e frutta rossa quasi surmatura. Caldo, avvolgente con una buona persistenza aromatica e con la consapevolezza che nonostante i 5 anni di età possa riposare tranquillo in bottiglia per molti anni ancora. Una bella scoperta, un vino che non ti aspetti e che non avremmo conosciuto se non fossimo giunti a queste latitudini. 

Rimanendo sui rossi, degustiamo anche un Refosco dal peduncolo rosso, particolare soprattutto nel gusto predominante di note di pepe; passando ai bianchi degustiamo un pinot bianco caratterizzato da note minerali e balsamiche per passare quindi al picolit che qui, a differenza di quanto assaggiato precedentemente rispecchia appieno le sue caratteristiche tradizionali.

E' del 2005, con gradazione alcolica di 13.5 gradi, dal colore giallo oro, con profumi delicati di miele e frutta candita, persistente al palato con una dolcezza suadente ma mai stucchevole.  Di sicuro sono tutti vini di ottima fattura, raffinati e dalle caratteristiche ben marcate; di sicuro Ermacora è un'azienda da visitare, sia per la qualità e soprattutto per la competenza del sig. Dario che raggiuntoci, ha discusso tecnicamente con noi rispondendo esaustivamente alle nostre domande. Come spesso accade, acquistiamo quanto degustato e con un tasso alcolico sanguigno che rasenta la soglia dell'illegalità, riprendiamo il viaggio di ritorno con l'intento di fermarci per una sosta culinaria di breve durata per poi ripartire in direzione Oslavja alla ricerca di un vino da sempre mio pallino ovvero la Ribolla Gialla.  

Paolo ci comunica che l'automobile è quasi a secco e che è sua intenzione fare il pieno in Slovenia dove il gasolio costa 25 centesimi di euro al litro in meno rispetto a quello italiano. Abbiamo il fondato timore di rimanere per strada, visto che da un bel po' di chilometri la spia rossa della riserva è costantemente accesa, ma il padrone del mezzo è sicuro di sè e ci dice di non temere alcuna malasorte. Ci dirigiamo verso Plessiva, località che ci conduce al confine di stato, un confine al quale si arriva percorrendo una specie di cavalcavia, costituito da una casupola e da una stanga una volta ben chiusa e che ora, post entrata della Slovenia in area euro è ben spalancata ma allo stesso tempo da l'idea del vuoto, della desolazione, di una linea di confine quasi immaginaria che in qualche modo incanta ed induce un certo timore. Valichiamo la frontiera, siamo in territorio sloveno e i cartelli stradali ci indicano l'effettiva entrata in terra straniera; ho la sensazione che solo dopo poche centinaia di metri l'atmosfera sia completamente diversa. Fanno eccezione i vigneti che non mutano il loro essere e che sembrano non curarsi del differente territorio insegnandoci che la terra è di tutti e che nell'utopico mondo perfetto non debbano esistere i confini.

Ho anche l'esagerata sensazione di essere osservati e che da un momento all'altro qualche cecchino possa farci una bella imboscata, ma come sempre è la fantasia che galoppa influenzata dalla distorta concezione politica sul variegato frazionamento territoriale dell'ex jugoslavia. Fortunatamente non rimaniamo a piedi, facciamo il pieno e velocemente ritorniamo in territorio italiano dove, comunque a livello psicologico respiriamo un'aria migliore, un'aria intrisa di libertà, forse effimera; d'altro canto quando passi dall'altra parte sai quello che lasci ma non sai quello che trovi e molto spesso il cambiamento è sinonimo di problema.    

Nell'organizzare questo viaggio ero stato tentato di visitare quello che notoriamente, dopo anni di disprezzo e di critica da parte dell'enologia nazionale, è diventato un vero e proprio caposaldo nella produzione della Ribolla gialla, ovvero Josko Gravner. Un produttore rivoluzionario che predilige le fermentazioni in anfore di terracotta acquistate direttamente dalla Georgia, pioniere e fautore dei vini completamente naturali, ma forse sarebbe stato meglio mantenere un più basso profilo mantenendo la politica del piccolo/medio produttore e la nostra scelta va verso l'azienda vinicola Primosic di Oslavia che da oltre un secolo si occupa di vino ma che solo dalla fine degli anni cinquanta si è ben consolidata sul territorio. A differenza degli altri produttori con i quali abbiamo stabilito specifici appuntamenti, da Primosic ci presentiamo di sorpresa ed ancora una volta è una donna a spalancarci le porte di casa. Giovane, non bella, dalla timbrica metà italiana, metà slava ci accoglie direttamente nella sala degustazione ed andiamo direttamente al sodo con l'assaggio della Ribolla gialla annata 2007 di 12,5 gradi e della Ribolla riserva del 2005 di 13,0 gradi. La ribolla 2007 ha un colore giallo oro non carico,  ha sentori di frutta gialla matura, pesca su tutte, di buona beva e sostenuta da una buona acidità; la riserva del medesimo colore ha richiami olfattivi sicuramente più ampi, dalla frutta gialla matura, in particolare pesca ed albicocca a vaghi sentori di miele ed a sensazioni di erbe aromatiche ( secondo me il timo). Al palato è un vino austero dalla buona persistenza aromatica, insomma un vino che di certo non sfigurerà sulle nostre tavole in abbinamento ad un risottino ai frutti di mare e con dei bei gamberoni alle erbe aromatiche.  

La nostra visita è quella di una toccata e fuga con il risultato comunque dell'acquisto di 6 bottiglie. 

Siamo in pieno pomeriggio, il sole è alto nel cielo, la temperatura è gradevolissima e di ritorno all'agriturismo, ci fermiamo a far visita all'ossario di Oslavia che avevamo intravisto mentre giungevamo a destinazione da Primosic. Un imponente mausoleo contenente i resti mortali di 57.200 soldati italiani caduti nella grande guerra e di 536 soldati austriaci più 2.000 militi ignoti. Che tristezza. A distanza di novant'anni ci si domanda per cosa realmente si siano sacrificati e come spesso accade non sai darti una risposta che giustifichi la perdita di una vita umana. Dopo tutto questo tempo è per certi versi così assurdo e fuori da ogni logica contemporanea. Devo dire che mi ha messo un po' di angoscia facendomi riflettere sulle debolezze e sugli errori che diventano orrori.

L'Ossario di Oslavia

Enologicamente appagati di quanto questa terra ci ha regalato in questi due giorni, ritornavamo alla base, un po' stanchi ma felici e pienamente orgogliosi di quanto vissuto e sperimentato. La solita doccia rigenerante, ancora una Marlboro tra le labbra e poi via a gustarci la cena della sig.ra Donatella.

Antipasto di salame nostrano ed ossocollo (la nostra coppa per intenderci) seguito da stinco di maiale con patate al forno e insalata fresca, torta caffè ed ammazzacaffe'.

Stupendo, un maialino così era da tempo che non lo assaporavo. Complimenti alla cuoca.Di ritorno in camera, tentavamo inutilmente di assistere all'incontro di Champions League tra Manchester United e Barcellona, ma inspiegabilmente la tv satellitare criptava la partita trasmessa sulle reti Rai ed incredibilmente in nessun canale sportivo potevamo vederne i riflessi filmati. Poco importa, visto che dopo circa una mezzoretta schiantavamo di sasso avvolti dal torpore di un sonno riposante e rigeneratore. 

Al canto del gallo riaprivamo gli assonnati occhi. Per fortuna il tempo ci sostiene, l'aria è fresca, ma il sole che già splende ci rassicura e ci induce a pensare che la giornata, dopo tanto tempo perturbato girerà sui classici temi primaverili. 

Dopo colazione, raccolto il nostro bagaglio, e le preziose bottiglie acquistate, ci dirigeremo verso Santo Stefano di Valdobbiadene alla conquista del vero Prosecco, l'ultima tappa di questo viaggio che sin qui si è rivelato molto soddisfacente, ricco di conferme e di certezze.

Prima di lasciare il bell'agriturismo che ci ha degnamente ospitato, acquistiamo del miele e degli asparagi bianchi e ci congediamo dalla famiglia Felchero non prima di aver lasciato sul book delle presenze queste poche parole per noi molto significative:" Carissimi Donatella e Andrea, rientriamo a casa con tatuata idealmente sulla pelle la rosa, simbolo del vostro agriturismo. Una rosa che ci ha inebriato col profumo della vostra cucina e che ci ricorda che le sue spine non sono altro che il duro lavoro ed il sudore giornaliero speso nella conduzione della vostra attività. Grazie per averci fatto assaporare l'ospitalità friulana in una terra che grazie a Dio è ancora a misura d'uomo. Buona fortuna da 3 appassionati degustatori".   

Ci lasciamo alle spalle la piccola cittadina di Medea e dopo pochi chilometri la nostalgia mi assale e meno male che c'è ancora la fantastica emittente radioEasynetwork che smorza i sentimenti malinconici. Siamo felici e molto tranquilli. A passo spedito, intervallato da alcune code nell'attraversamento di trafficati centri cittadini ci avviciniamo a destinazione. L'attesa per poter degustare il vero Prosecco è per certi versi spasmodica; non sono un vero fan, nè tantomeno un vero intenditore del Prosecco ma mi intriga poter avere la possibilità di apprezzarlo nella sua versione più conosciuta e in quella del cru Cartizze. L'attraversamento di Santo Stefano di Valdobbiadene è quantomeno stupefacente, qui, a parte le aziende agricole, tutto il resto del territorio è completamente vitato, non esistono vigneti intervallati da prati, boschi, altri terreni diversamente coltivati; viene sfruttato ogni metro di terreno. Cerco di immaginare la meraviglia del paesaggio al momento del periodo di vendemmia con i vigneti completamente fogliati e con i tralci colmi di succosi grappoli, sicuramente un colpo d'occhio non indifferente. L'azienda agricola "La casa Vecchia" è situata nel punto più panoramico di tutta Santo Stefano ovvero è posta in  zona centralissima , circondata da colline dai dolci pendii logicamente tutte vitate. In particolare fa bella mostra di sè la collina del cru Cartizze geologicamente formata da terreno oceanico ricco di sostanze minerali che donano all'omonimo prosecco caratteristiche uniche. 

La collina di Cartizze

Ci accoglie il figlio del sig. Follador titolare dell'Azienda, un ragazzotto forte e dall'aria sicura con il quale entriamo subito in sintonia; apprendiamo che il vero prosecco di Valdobbiadene è contenuto in bottiglie serigrafate con una V dal marchio depositato e che negli ultimi anni stanno concentrando gli sforzi per tutelare il vero prosecco dalle innumerevoli imitazioni.

Ci concentriamo ed impazienti iniziamo con le degustazioni. In assenza della cuveè "Meme", esaurita, assaggiamo il prosecco exra dry ed il Cartizze superiore. Enrambi di , 11,5 gradi ma con caratteristiche differenti; l'extra dry è per così dire il classico prosecco, versato nel bicchiere ha una presa di spuma ben evidente, in bocca ha una freschezza notevole, equilibrato, morbido  ed ha sentori floreali che completano il netto sapore di frutta bianca matura. Il Cartizze superiore è di sicuro più impegnativo ed è dotato di un finissimo perlage e da un bouquet intenso ed elegante dove la tipica florealità è arricchita da note di frutta fresca e di pasticceria, un vino che va servito nelle cene e negli incontri che meritano rispetto. Ultimo, ma non ultimo per importanza è l'assaggio di un qualcosa di particolare ovvero il prosecco passito denominato Quietus. Non avrei mai pensato che si potesse fare del passito con il prosecco anche perchè l'abbinamento con le bollicine è qualcosa di veramente insolito. Negli ultimi anni sono diventato un cultore del vino passito, da meditazione, perchè riesce a provocarmi emozione e a far emergere una sensibilità di sicuro non insita nel mio carattere.

Questo Quietus è davvero speciale ad iniziare dal colore molto ambrato e dai profumi di miele, camomilla e frutta candita, al palato è imponente, grasso e salivante e quel tocco di bollicine è come se lo mineralizzasse. Una bella scoperta che ci induce ad acquistarlo logicamente con il resto delle bottiglie di prosecco degustate. 

Il Follador ha capito che non siamo, in campo enologico, gli ultimi sprovveduti sulla faccia della terra e con reciproco orgoglio ci annovera tra gli intenditori del Quietus segnando i nostri nominativi sul sacro libro degli acquirenti di questo passito. Un passito sicuramente di nicchia, anche in base alla minima quantita’ annuale prodotta. 

Felici e soddisfatti ci accingiamo a caricare quanto acquistato, ma per fare ciò, dobbiamo per forza di cose frequentare a velocità della luce un corso per ingegneria spaziale al Cepu per poter ottimizzare tutti gli spazi della pur comoda Grand Vitara. Non è un gioco da ragazzi ma ce la facciamo. Ho avuto anche l’impressione che forse ripartendo, l’auto avesse in parte impennato.

Che dire, con il mezzo strapieno, anche volendo visitare qualche altra cantina sarebbe stato a questo punto inutile per cu il viaggio volge al termine e sulla via del ritorno, mentre in lontananza inquadriamo la cappa di smog del capoluogo lombardo, pensiamo già al 2009 con l'intento di ritornare in terra d'oltralpe alla scoperta dei vini della cote du Rhone; intanto domani è un altro giorno e conoscendo mia moglie mi aspetteranno di certo le pulizie di primavera. Che amarezza!!! Ma soprattutto, quanta nostalgia delle rose.