And your prayers they break the sky in two

Believing the strangest things, loving the alien

(Loving the alien – 1984 David Bowie)


Sono certo che gli alieni esistono e vivono in mezzo a noi!!

La mia affermazione può essere vista sotto due differenti prospettive; la prima è di natura scientifica e scomoda niente di meno che il padre delle teorie evoluzionistiche, vale a dire Charles Darwin.

Le leggi relative alle forme di vita extraterrestre sarebbero regolate dalle stesse leggi che determinano l’evoluzione delle specie sulla Terra e tutto ciò può essere avallato dal fatto che nessuno può confutare che su altri pianeti, quelli che noi chiamiamo “alieni”, debbano sottostare a un differente meccanismo di selezione naturale diverso dal nostro e quindi, come noi, plasmati nel tempo da quella che si può definire come una regola universale su quella che definiamo vita.

La seconda prospettiva, quella che preferisco è  che nel corso della storia ed ancora oggi (credo), gli alieni siano in mezzo a noi attraverso figure che, quasi sempre post-mortem, vengono ricordate come persone isolate, quasi disadattate, che sono riuscite a distinguersi dalla massa grazie a doti innate e a un talento fuori dal comune. In poche parole veri e propri geni. 

Nell’immaginario collettivo, compreso il mio, il genio è chi appare così potente ed irraggiungibile al punto di essere in grado di anticipare i tempi, come se vivesse in un periodo “sbagliato”, dove la massa difficilmente riesce a comprenderlo e a capire come sia possibile che riesca dove nessun altro può arrivare. Ecco perché, nella mia mente contorta, è cresciuta nel tempo la convinzione che personaggi del calibro di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Caravaggio, Albert Einstein, Tesla etc etc, tanto per citarne alcuni, non siano stati completamenti umani. 

Anche in campo musicale, se consideriamo la musica classica, come non poter ricordare Mozart o  Beethoven, mentre se penso a quella contemporanea e a quanto fin qui espresso, non posso fare a meno di credere che un vero alieno sia stato David Bowiequell’intenso, trasgressivo, rivoluzionario e camaleontico cantante che per tutti era il Duca bianco.

Nella sua straordinaria e geniale vita artistica, più volte ha lasciato indizi sulla sua vera natura…..

Mentre a luglio del 1969 l’uomo sbarca per la prima volta sulla Luna, a novembre dello stesso anno, Bowie inizia il suo “viaggio musicale” con l’album Space Oddity sbarcando sul pianeta terra direttamente da Marte.

Un alieno con chitarra rock incorporata e con quella sua strana aria androgina di persona che presentava la combinazione contemporanea di elementi maschili e femminili, un’ambiguità di genere che condizionò davvero il suo stile di vita, andando contro la morale ed il conservatorismo dell’epoca.

Ma non solo. Nel 1976, presta la sua immagine per interpretare il film “L’uomo caduto sulla terra”, dove incarna un fragile e meraviglioso alieno, comparso sulla terra in cerca di sopravvivenza. «Vengo da un mondo spaventosamente arido. Abbiamo visto alla televisione le immagini del vostro pianeta. E abbiamo visto l’acqua. Un’interpretazione suggestiva e decisamente raffinata che lo pongono come un artista a tutto tondo. 

Nel 1984, a mio parere chiude il cerchio con il singolo Loving the alien , dove critica il pensiero comune sull’esistenza di esseri diversi da noi come qualcosa di negativo; l’alieno è cattivo, è quello che viene sula terra per distruggere, per rubare o rapire qualcuno. Il diverso (il genio) è sempre pericoloso.

Gli alieni sono tra noi, anche in campo vinicolo e la prova provata me l’ha data la degustazione di un vino meravigliosamente diverso da tutti gli altri, come se fosse stato realizzato in una differente dimensione, una volta oltrepassata una porta quasi extraterrestre segnata da una lapide muraria e identificata come Porte St Jean nel villaggio di Montreuil Bellay, in Loira occidentale.

Mi riferisco al La Porte St Jean “La Perlèe annata 2020 di Sylvain Dittiere, 

Chenin Blanc di rara purezza del vigneron francese considerato uno degli astri nascenti del Saumurrois. Imparentato con i leggendari fratelli Foucault di Clos Rougeard (ha sposato la figlia del compianto Charly)ha conseguito apprendistato importanti dal suocero, poi presso Chateau Yvonne, da Thierry German, da Marc Tempè e in ultimo al Domaine Gauby in Languedoc Roussillon, prima di mettere radici a Montreuil-Bellay, a quindici chilometri da Saumur,  coltivando 6,5 ettari di vigna, per metà a Cabernet Franc e per l’altra a Chenin Blanc, con viti molto vecchie, anche oltre 90 anni e con una conduzione completamente biologica, in assenza di certificazione e tutta l’attività agricola ed enologica è seguita direttamente da Sylvain.

Fare da solo vuol dire essere sempre sul pezzo su tutto e sull’intero ciclo produttivo e Sylvain dedica la sua vita per questo, non alienandosi mai.   Cantina sotterranea scavata nel tufo con temperatura ed umidità costante ideale per gli affinamenti in botti da 500/600 litri mai di primo passaggio e provenienti dalle foreste dello Jura, della Auvergne e della Loira. Nel processo di vinificazione si fa un ridotto utilizzo di solforosa, senza mai filtrare e la permanenza del vino nelle botti è di almeno 24 mesi. 

Ma veniamo a questa perla rara che versata nell’ampio balloon da degustazione si apre alla vista con una veste splendidamente dorata velatamente torbida.

Atteso pazientemente e roteato più volte nel bicchiere emana iniziali accenni di smalto, polvere da sparo  e cera d’api; a seguire emerge la parte fruttata di melone maturo, pera Williams, mela verde e sul finale vaghe note di burro salato e di panna acida.

In bocca è davvero fuori dall’ordinario, è estremamente avvolgente, orizzontale e inizialmente solletica le papille gustative con una impercettibile  e dissolvente effervescenza, per poi esplodere come una meteora che colpisce la terra, dando vita a una deflagrazione talmente potente quasi da stordirti, ma per il modo in cui ti seduce e ti ammalia. E’ altresì salivante al punto da indurti a continuare a berne sorsi, come se non ci fosse un domani e con una corrispondenza naso/bocca esemplare, dove i rimandi fruttati e burrosi si sentono in modo prepotente.

Acidità media, ma è la mineralità che la fa da assoluta padrona, con una debordante sapidità che ti resta in bocca a lungo dopo averlo deglutito, come se fossi colpito da uno tsunami marino.  

Finale lunghissimo su di un retrogusto delicatamente burroso. 

Un vino eccezionale!!!!

Mentre degusto questa meraviglia, ascoltando in sottofondo le note del brano di Bowie, penso che prima o poi riuscirò ad oltrepassare la Porte St Jean, quell’ideale Stargate che mi catapulterà in una nuova dimensione dai connotati kryptoniti, che mi indebolirà al punto di abbandonandomi alla completa seduzione di questo Chenin Blanc e alle magie di un vigneron “alieno” caduto sulla terra.

Alla prossima…….