Sailing, takes me away

To where I've always heard it

Just a dream and the wind to carry me

Soon I will be free

(Sailing- 1979 Christopher Cross)


Può capitare che nella vita si riesca a dare il meglio di sé per un periodo davvero ristretto, per poi essere gradualmente dimenticati e tutto ciò accade sovente nel mondo artistico e sportivo, come se ci si fosse concentrati su un exploit più unico che raro e che, nel bene o nel male, condizioni in seguito l’intera esistenza. E’ il caso di fare qualche esempio significativo.

In campo sportivo potrei accennare a Bob Beamon lunghista, che alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, azzeccò un salto di 8,90 m. che gli valse la medaglia d’oro e il record del mondo, che durò sino al 1991. Rientrato dal Messico ricominciò ad allenarsi seriamente, ma qualcosa non funzionava più nei suoi salti. Per alcuni anni continuò a gareggiare, ma non riuscì ad avvicinarsi più al suo record (il suo miglior salto fu di 8,16 m nel 1973 a Salt Lake City) e mancò la qualificazione per le olimpiadi del 1972.

Se penso all’arte, mi sovviene Edvard Munch, uno dei più grandi artisti del XX secolo, considerato un esponente di spicco dell’arte espressionista che ha dipinto oltre 1.000 quadri, lasciandoci in eredità più di 4.000 disegni, eppure tutti lo ricordano per quell’“Urlo”, diventato l’icona di una società atterrita e angosciata. Sfido chiunque a indicare un’altra sua opera.

Ed ancora, nel mondo dello spettacolo, mi viene in mente Mark Hamill, il “Luke Skywalker” della trilogia di Guerre Stellari, che ha trovato l’apoteosi nei film di George Lucas col filone fantascientifico e poi è andato a finire nell’oblio nonostante avesse continuato a lavorare, anche come doppiatore, prestando la voce a Joker nei cartoni animati di Batman. Ce ne sarebbero da dire…..

Anche nel campo musicale abbiamo assistito a qualcosa del genere e a parer mio uno degli esempi più lampanti è dato dal cantautore americano Christopher Cross, che nel 1979 esordì con il suo omonimo album, per capirci quello famosissimo in cui compare, su sfondo verde, un fenicottero rosa. 

20 milioni di copie vendute, un successo talmente grande che avrebbe potuto travolgere chiunque; Christopher, per non farsi ingoiare dalla sua stessa fama ha dovuto fissarsi un obiettivo fermo, restando coerente alla sua integrità artistica a dispetto dei dettami del business, che le case discografiche, soprattutto in quegli anni, cavalcavano a dismisura e che in breve tempo lo tagliarono fuori, anche per uno stile musicale che negli anni successivi al suo improvviso successo pareva inadeguato. 

Ho sempre sostenuto di avere un’anima rocker, ma in certi momenti della vita e in determinati stati d’animo, non posso fare a meno di risentire quell’album, soprattutto attraverso le note di una canzone davvero iconica e che tocca le corde della mia anima, a volte immersa in un mare tempestoso. 

Mi riferisco a “Sailing”, traccia nr. 8 dell’Lp; nonostante in quegli anni crescessi musicalmente a pane e Led Zeppelin, mi era capitato di ascoltarla restando colpito dalla voce per certi versi innaturale del cantautore texano, che poco si addiceva alla sua presenza scenica di ragazzone con barba e con qualche chilo di troppo, ma la malinconia che traspariva da quelle note mi rapiva e non potevo fare a meno di arrivare fino in fondo. 

Sailing=salpando, navigando a vela. 

Veleggiando nel percorso della nostra vita, insistendo nella ricerca di un porto sicuro, di una sorta di “isola che non c’è”, ma che esiste non solo nella fantasia ma anche nelle speranze di attraccare in quel mare di tranquillità e di pace. La quotidianità cerca di impedire tutto ciò, fagocitandoci in una frenesia senza senso che quasi gode ad ostacolare il nostro intento, tra mille difficoltà e impedimenti. La strofa come prefazione a questa recensione recita tradotta:


“La vela mi porta lontano

dove ho sempre sentito dire

che potrebbe essere solo un sogno 

e il vento per portarmi

presto sarò libero


Hai mai provato a veleggiare su di una barca a vela, con il vento che ti accarezza la pelle, con quella sensazione strana che ti mette in connessione con il tuo io più profondo, con la natura e con la vera essenza del proprio essere? Se l'hai fatto, in quello stato avrai attraversato il tuo momento migliore, in cui ti sei sentito davvero libero!!!

Il compagno ideale, veleggiando immersi in una sorta di nostalgica malinconia, che le note di questo brano si prestano in tal senso è un calice di vino bianco, che ha i connotati paradisiaci e miracolosi per poter raggiungere quella pace interiore, alimentando le nostre motivazioni, quasi misticamente  tese a quella ricerca personale verso una piena realizzazione dei nostri desideri.

Mi riferisco al Bourgogne Blanc del Domaine Didon degustato nell’annata 2022 di 12,0° vol. , una sorta di Fiocco in opposizione alla Randa, una vela indispensabile per andare controvento verso un punto di arrivo. 

A Chassey Le Camp, Cote Chalonnaise, in Borgogna, Naima e David Didon hanno trovato il loro piccolo angolo di paradiso, la loro “isola che non cè”,  in cui, dal 2017, coltivano la vigna applicando i principi della biodinamica. Pur non appartenendo a una famiglia di viticoltori, i due hanno subito sviluppato una passione per il settore enologico. Naima era assistente amministrativa in due tenute vinicole, mentre David ha iniziato la sua carriera nel settore della salvaguardia ambientale. Unendo le loro forze, hanno scelto di lavorare in modo rigoroso ed esigente, sia in vigna che in cantina, per produrre vini di grande purezza. 

Fermentazione spontanea, grappoli interi, nessuna aggiunta, nessuna chiarifica o filtrazione e nessun utilizzo di botti nuove sono solo alcuni dei parametri che contribuiscono a creare una piccola gamma di vini vivaci, rinfrescanti e sempre vibranti di energia. I vini del Domaine Didon sono di una qualità incredibilmente elevata, nonostante la modesta denominazione che riportano sulle etichette.

Emblematiche queste parole di David Didon che racchiudono il suo credo in ciò che fa:

Abbiamo la sensazione che, lentamente ma inesorabilmente, ci stiamo avvicinando ai nostri obiettivi qualitativi. La precisione in vigna, il rigore in cantina e la biodinamica conferiscono ai vini un'espressione precisa e viva. Questi vini non raggiungono solo i comuni sensi del gusto e dell'olfatto, ma anche, forse, un senso unico di un'umanità che si sta gradualmente manifestando e che per la prima volta assapora il "senso del vivo".

Ma veniamo alla degustazione di questo Chardonnay in purezza che, versato nel calice da degustazione si presenta cromaticamente di un bel colore oro grezzo, dai connotati antichi, leggermente torbido, a confermare l’estrema naturalità del vino. 

Al naso emerge con assoluta immediatezza la componente fruttata dai decisi tratti citrini di limone maturo, ma anche di frutta tropicale, di ananas e di pera Abate. Compare anche una delicata nota floreale di camomilla selvatica e sul finale una leggera nuance balsamica.

In bocca è dotato di una bella tensione vibrante, dove il corollario gustativo ben si abbina a quello olfattivo in una corrispondenza magistrale e con un’acidità di tutto rispetto in un sottile equilibrio con una dinamica mineralità ben presente e con una componente sapida sensuale come una sferzante brezza marina salmastra e iodata. 

Un vino spettacolare che ammalia sorso dopo sorso e che proietta verso orizzonti inesplorati, dove le nubi vengono squarciate da una nuova luce e da prospettive inimmaginabili…...

Mentre ricerco la mia pace sulle note di “Sailing”, in compagnia di questo nettare diVino, vi do appuntamento alla prossima recensione.