Da oltre un decennio sono donatore AVIS e penso che prima o poi mi bloccheranno perché, analizzando il mio sangue, troveranno indelebili tracce di Pinot Noir di Borgogna. Quello che mi attira di questa terra magica, visitata 6 volte nell’ultimo ventennio, non sono solo i suoi pregiatissimi vini, ma anche i nomi misteriosi che vengono attribuiti ai climats (nel caso dei vigneti della Borgogna, il climat è una distinta località dedita alla viticoltura), che siano riferiti a village, a premier cru o a grand cru. Decifrarli significa comprendere la storia di ognuno di loro, perché ogni climat ha una propria identità.

Molti di questi nomi risalgono al Medioevo ed esprimono l’origine, la storia, le caratteristiche del luogo, del terreno e dell’esposizione. Così, tanto per citarne alcuni, “Romanèe” esprime la vicinanza del terreno di un’antica strada romana, oppure “le cras”, la composizione del terreno sassoso o ancora “Montrachet”, l’assenza di vegetazione in cima alla collina. 

Devo confessarvi che capita di lasciarmi rapire dall’etimologia dei climats, che a volte influenzano l’acquisto di una bottiglia di Borgogna, che sia Pinot Noir o Chardonnay, perché dentro di me prende il sopravvento la storia e la ricerca, non sempre semplice e risolutiva, che danno un senso a quel che poi mi accingo a degustare.

Non tralascio di certo l’appellation ed il vigneron, che sono sempre fondamentali nella scelta finale.

Non ha fatto eccezione la bottiglia di Saint- Aubin Premier cru “sur le sentier du clou” annata 2021 del Domaine Larue di 13,0° vol. 

Saint Aubin è un piccolo villaggio nella Cote de Beaune, più alla ribalta per i suoi Chardonnay e molto meno per il Pinot Noir, anche se, sino agli ’70 del secolo scorso gli ettari vitati in rosso erano predominanti sui bianchi. Per ragioni economiche e di marketing ed alla stregua dei vicini comuni di Puligny e Chassagne Montrachet, Saint -Aubin ha sfruttato l’onda del leggendario vigneto Montrachet che produce i migliori bianchi al mondo, ampliando e sostituendo Chardonnay al posto del Pinot Noir, ma snobbarlo è a mio avviso un vero sacrilegio e la bottiglia degustata ne è la prova provata.

Quando il mio caro amico, nonché grande intenditore dei vini di Borgogna, Emanuele Spagnuolo di Grandi Bottiglie (www.grandibottiglie.com) ha presentato questa bottiglia sul suo blog, quell’etimologia così strana, mi ha ricordato qualcosa, come se si aprisse magicamente un cassetto della memoria. Io il “sentier du clou” l’ho percorso a piedi nel lontano 2013 nella visita, non programmata, del villaggio di Saint-Aubin.

Partendo dalla piazza della chiesa, svoltando a sinistra in Rue de la Font Canee, si procede per un centinaio di metri e poi si svolta a destra verso est e si imbocca il “Sentier du clou” e lo si percorre a piedi per circa 600 metri, vitati da entrambi i lati, Il Domain Larue, che, dal fondo del sentiero dista 1,2 km dovrebbe avere il proprio vigneto a circa metà sentiero, logicamente guardando a sinistra e in zona collinare.

Ho fatto delle ricerche e “le sentier du clou” dovrebbe avere più significati nella sua traduzione etimologica, ma penso che quello più attinente sia “il sentiero della carretta” e lo posso testimoniare, perché è un sentiero stretto e sterrato dove, probabilmente, ai tempi che furono, transitasse non più di un carro, probabilmente colmo di grappoli durante la vendemmia. L’omonimo vigneto del Domaine Larue è sempre stato molto ambito nel passato per la sua esposizione ottimale e perché ha nel suo terroir una componente calcarea molto elevata.

Didier e Denis Larue gestiscono il domaine con possedimenti di proprietà per 17 ettari di cui 11 vitati a  Chardonnay e 6 a Pinot Noir, per una produzione complessiva annua di 80.000 bottiglie.  A loro si sono uniti nel 2009 e poi nel 2016 i rispettivi figli, Bruno e poi Vivien. I quattro uomini condividono la stessa filosofia: saper adattare il lavoro alle annate e agli appezzamenti e tutti usano quotidianamente il loro senso di osservazione e la loro conoscenza dei terroir. In vigna come in cantina, il lavoro, preciso e meticoloso, è svolto secondo la tradizione borgognona. Negli ultimi anni si stanno convertendo ad una viticoltura biologica non ancora certificata. 

Ma veniamo alla degustazione.

Si presenta cromaticamente di un bel colore rosso rubino scarico, davvero intrigante e giovane, limpido e brillante su tutta la superficie; al naso, profumi nitidi ed intensissimi con in evidenza una nota speziata e grigliata di vero impatto, ancor prima degli usuali sentori di frutta rossa fresca e di bacche scure, che vengono anche anticipati da note floreali di petali di rosa e soprattutto di viola mammola. 

In bocca è semplicemente strepitoso, decisamente verticale e con una sensazione quasi gessosa, da non confondere con un’astringenza di un tannino deciso e delicato, non ancora completamente svolto. Dotato di una materia succosa, di un’acidità e di una  mineralità da manuale, chiude con una sferzata sapida a metà palato e con una persistenza lunga quanto basta. 

Beva da incorniciare ora e a mio parere per i prossimi 5 anni.

Un vino che rappresenta una bellissima scoperta e la certezza, quantomeno per il Domaine Larue, che in una zona come Saint-Aubin decisamente non sotto i riflettori per il Pinot Noir, si possono trovare delle vere e proprie chicche, tra l’altro ad un prezzo ragionevole per essere nella Cote de Beaune. 

Ricordando e ripercorrendo con la mente quel sentiero e soprattutto degustando questo fantastico vino, mi sono immaginato per un attimo seduto su quel carretto, fermo a contemplare le viti e i grappoli di Pinot Noir, sorseggiando un nettare celestiale di un climat sbalorditivo!!