Per almeno 3 lustri consecutivi ho girovagato in lungo e in largo il territorio delle Langhe, così care allo scrittore Cesare Pavese che nel suo “Il mestiere di vivere” del 1947 lo descriveva così:

Oggi vedevi la grossa collina a conche, il ciuffo d’alberi, il bruno e il celeste, le case e dicevi: è come è. Come deve essere. Ti basta questo. È un terreno perenne. Si può cercar altro? Passi su queste cose e le avvolgi e le vivi, come l’aria, come una bava di nuvole. Nessuno sa che è tutto qui…..

Non oso pormi a livello del celebre scrittore, ma osservando il territorio, quello che più mi è rimasto in mente, vigneti a parte, è che ogni qual volta che mi accingo ad uscire dall’abitato di Barolo, percorrendo la strada panoramica che conduce a La Morra, vedo  in lontananza il misterioso ed austero Castello della Volta, che si erge con maestosa decadenza, e che ancora oggi mi incute una certa sudditanza reverenziale nonostante le sue sembianze non siano all’altezza delle aspettative, dato che non è in buono stato di conservazione.

Forse, la sua storia e la leggenda che aleggia su di esso mi influenzano psicologicamente e talmente tanto da riservarne le mie attenzioni, al di là di chissà quali meriti.

Costruito intorno al 1200 da Manfredo del Vasto, Marchese di Saluzzo, successivamente venne incorporato nel Feudo di Barolo ed acquisito dalla influente famiglia Falletti. Venne più volte restaurato e nel XIX° secolo utilizzato come residenza estiva dalla Marchesa Juliette Colbert, che tanto fece per la nascita del re dei vini e che amava trascorrere i pomeriggi in compagnia di Silvio Pellico leggendo e discutendo di letteratura. Dopo la morte di Tancredi Falletti e della moglie Juliette, il castello cadde inevitabilmente in abbandono.

Nonostante ciò, la decadenza non oscurò mai il ricordo di quanto accadde nel 1300 durante un ricevimento al castello, in cui gli invitati, in preda alle libagioni ed in abiti adamitici, si erano abbandonati ad un’orgia collettiva sfrenata, al punto tale (la leggenda racconta)  da far infuriare Dio che fece crollare la volta del salone centrale sulla comitiva lussuriosa. 

Quando le macerie vennero rimosse, i resti dei corpi peccaminosi non furono ritrovati, probabilmente caduti negli inferi per volere del demonio. 

A seguito del crollo, prese il nome di Castello della Volta. 

Addirittura qualcuno sostiene che il vero proprietario del castello sia il diavolo e nelle notti di luna piena vi siano oscure presenze all’interno delle sue stanze….

E’ probabile che se il Barolo fosse esistito e fosse stato servito al ricevimento, avrebbe sicuramente distratto il demonio che, una volta assaggiato, lo avrebbe scelto e se ne sarebbe andato lasciando all’interno del castello i corpi dei malcapitati. Se poi fosse stato un Barolo della vecchia scuola, quella tradizionale, senza tanti fronzoli, come ad esempio il Barolo annata 1997 dei Marchesi Barolo di 13,5° vol. ancora meglio.

E’ quasi superfluo parlare di questa azienda storica con sede a Barolo, presente sul territorio dal 1807 e legata in origine alla famiglia Falletti, a Tancredi e a quella Juliette Colbert che fu la prima ad intuire le grandi potenzialità del territorio enologico di Barolo e soprattutto del vitigno più caro, ovvero il Nebbiolo. Con la loro morte, la storia dei Marchesi di Barolo non si estingue, ma si incrocia con la famiglia Abbona, ancora oggi al timone aziendale. Pietro Abbona acquistò l’Agenzia della Tenuta Opera Pia Barolo, costruita da Juliette nel 1864, sede delle antiche cantine di affinamento vinificazione dei Marchesi di Barolo.

Ma veniamo alla degustazione.

Dal punto di vista termico, il 1997 è stato orientato al caldo, con valori spesso al di sopra della media, sia nei primi mesi che nella fase estiva e di inizio autunno, con effetti positivi sugli accumuli zuccherini delle uve.

il mese in assoluto più positivo è stato settembre, un mese eccellente, caldo e scarso di precipitazioni, giustamente ventilato, capace di favorire l’aumento del livello zuccherino delle uve e la riduzione dell’acidità, in particolare quella malica. La vendemmia, precoce un po’ ovunque, ha portato nelle cantine uve sane, mature ed esteticamente impeccabili.

Stappato 6 ore prima di essere servito e versato nell’ampio balloon tipo Burgundy 3 ore prima di essere degustato, si presenta cromaticamente di un bel colore in un mix di rosso rubino/granato mediamente carico, limpido ed uniforme nel bicchiere. Al naso, evidenti sentori floreali di petali di rosa essicata, lasciano ben presto il sopravvento a frutta rossa surmatura di ciliegia marasca ed a seguire piacevoli note balsamiche di aghi di pino e vagamente mentolate. Lasciato ulteriormente ossigenare, emerge un corollario di terziarietà a cominciare dal cuoio, per poi virare su tabacco da pipa, tartufo, funghi porcini e sul finale un tocco di goudron.

In bocca, è sorprendentemente fresco, con in evidenza un tannino dotato di un’astringenza quasi gessosa ed è sorretto da una buona acidità che gli conferisce una piacevolezza di beva, mai appesantita dalla struttura ben presente, ma che al contrario si esprime con una certa agilità. Un vino che è tutto, tranne che stanco, nonostante i 26 anni sulle spalle. Certo, non brillerà per finezza ed eleganza e non può essere equiparato a certi cru che noi tutti conosciamo, ma è un signor Barolo, figlio del blend dei nebbiolo dei vigneti Cannubi, Sarmassa e Brunate e scusate se è poco. Chiude con una bella persistenza aromatica che resta a lungo nella cavità orale. 

Come ogni volta, mi lascio alle spalle la cittadina tanto cara ai Marchesi Falletti  e dirigendomi verso La Morra dò un’ultima occhiata dallo specchietto retrovisore della mia auto al Castello  della Volta, immutabile e così austero al pari del più bel figlio del suo territorio…. il Barolo.