Sapete quante vie e piazze sono dedicate in Italia a Giuseppe Garibaldi?? Ben 4247!! Questo dato in parte mi ha stupito in rapporto a quelle riservate all’”eroina dei due mondi”, alla sua compagna di vita, vale a dire ad Ana Maria Ribeiro da Silva, chiamata dal condottiero nizzardo col diminutivo di Anita. Un’unica piazza con relativo monumento a Ravenna.

Dura la vita per il gentil sesso e tutto ciò nonostante Anita viene ricordata come una donna di azione, che ha sempre combattuto, ancor prima di conoscere Garibaldi, per la libertà e contro i soprusi, le oppressioni e la violenza personale. Paladina dei diritti delle donne, in un Brasile di inizio ottocento, sin da giovinetta nel desolante villaggio di Laguna si rese protagonista di gesti anticipatori di un’emancipazione femminile che ebbe il suo massimo fervore solo dal secolo successivo. Gli storici pongono in risalto alcuni episodi che la dicono lunga sul carattere di Anita, come quella volta che, ancora bambina, venne infastidita dalle insistenti viscide attenzioni di un vecchio contadino e lei lo ripagò strappandogli il sigaro di bocca e spegnendoglielo sulla guancia, oppure mentre raccoglieva granchi in riva al mare, fu toccata da un giovane ubriaco e reagì picchiandolo duramente e denunciandolo alla gendarmeria, tra le risa sarcastiche dei poliziotti. Lo zio, la coinvolse nei pensieri politici e agli ideali di giustizia sociale in un Brasile che all’epoca era decisamente dittatoriale e le esternazioni ed i comportamenti non la tennero indenne da continue maldicenze che obbligarono la madre, per ricondurla a una mite vita, a mandarla in sposa all’età di 14 anni al ciabattino del paese, molto più vecchio di lei. Anita era una polveriera e gli ideali di libertà e giustizia erano talmente presenti ed attendevano una scintilla per far esplodere tutta la passione e l’energia che nel proseguo della pur breve vita l’avrebbero accompagnata in ogni istante. Quella scintilla si materializza nell’amore per Garibaldi, e la fuga con lui non solo la esporranno al ludibrio dell’adultera e di madre di figli illegittimi, ma la consacrerà come un’indomita ed impavida condottiera. In solo 28 anni travagliati di vita, ma anche leggendari, saprà essere protagonista della Storia, da sempre avara di nomi femminili, in una lotta di ribellione alla violenza e alla discriminazione sessista di una società totalmente maschile. 

Muore il 4 agosto 1849, a una ventina di chilometri da Ravenna, in un misto di leggenda ed eroismo; in fuga verso Venezia, con l’amato Garibaldi, dopo il fallimento della Repubblica Romana, nei pressi di San Marino era febbricitante e anche in stato interessante. Si imbarcarono a Cesenatico, ma all’altezza di Punta di Goro le navi austriache gli impedirono di proseguire e sbarcati cercarono di seminare i loro inseguitori. Dopo poco, stremata, perse conoscenza e portata al riparo alla fattoria Guiccioli a Mandriole esalò l’ultimo respiro. 

Donna tenace ed innamorata che seppur incinta non abbandonò mai Garibaldi restandogli sempre al suo fianco, fino all’ultimo. 

Anita lascia ai posteri un fulgido esempio di coraggio, di abnegazione e di  impegno senza cadere in compromessi, incarnando un ruolo storicamente e stereotipicamente maschile. 

Se in campo enologico, dovessi fare un paragone di una donna di azione, di perseveranza e di tenacia emulativa dell’eroina brasiliana, mi sovviene una vigneronne borgognona che di nome fa Agnes Paquet.

A ridosso del nuovo millennio, dopo gli studi di economia e in procinto di intraprendere una carriera nell’alta finanza, si trova ad un bivio e coraggiosamente si catapulta nel complesso mondo vinicolo, da sempre appannaggio degli uomini. La famiglia di Agnes deteneva dagli anni ’50 terreni vitati nella denominazione Auxey-Duresses che affittavano a diversi viticoltori. Quando i suoi genitori decisero di venderli, si oppose con forza e scelse di diventare viticoltrice; dopo essere tornata a scuola e aver imparato il lavoro, ha incrementato la sua tenuta acquisendo nuovi appezzamenti e creando un vino a sua immagine. Oggi divide il suo tempo tra la vigna, la cantina e il marketing e gestisce l'azienda dal 2000. La sua prima annata è stata prodotta nel 2001.

Non sarà stato facile, ma presumo che l’esempio di donne come Chantal Remy e ancor di più di Madame “Bizou” Leroy l’abbiano spronata a superare le iniziali perplessità della famiglia e soprattutto la diffidenza dei “colleghi” uomini che per tradizione hanno da sempre fatto la storia di questa regione davvero unica. 

Per comprendere lo stile dei suoi vini, basta stappare una bottiglia del suo Auxey-Duresses, in questo caso dell’annata 2019 di 14,0° vol., che viene prodotto con vendemmia effettuata a mano in piccole cassette da 12 kg per conservare al meglio le uve; il raccolto viene selezionato su un tavolo vibrante e trasportato ai tini per gravità, senza pompa. Fermentazione alcolica in tini di cemento, vinificazione una ventina di giorni circa. Affinamento per 12 mesi in botti (solo 15% di botti nuove) poi 2 mesi in tini prima dell'imbottigliamento. Questo vino proviene dall'appezzamento originario della tenuta, di 5 ha, esposto a sud, nella frazione di Auxey Duresses a Melin. Luogo chiamato “LES HOZ” coltivato in parte a Pinot Noir e parte Chardonnay. La metà del Pinot Noir è stata piantata negli anni '50, l'altra metà nel 2000. I due appezzamenti vengono vinificati e maturati separatamente e poi assemblati.

Ma veniamo alle note di degustazione.

Rosso rubino mediamente carico, con riflessi più tenuti sull’unghia e cromaticamente uniforme e limpido; il naso è inizialmente quasi tutto incentrato sul frutto, dove predominano aromi di ciliegia, lamponi e prugna. Lasciato ulteriormente ossigenare nell’ampio balloon tipo Burgundy e roteato più volte, sprigiona, nonostante la giovane età, vaghi sentori terziari di funghi, sottobosco e una nota affumicata un po’ pungente che si dissolve con il tempo.

In bocca è decisamente morbido, riprende il fruttato percepito all’olfatto e si avverte un tannino fine e discreto ma ben presente. Un vino equilibrato con un’acidità didattica, che lascia una bella sensazione di freschezza e che bilancia la mineralità tagliente di questo Pinot Noir. Alcoolicità non avvertita nella beva, nonostante i 14°vol. dichiarati in etichetta e lunga persistenza aromatica in un finale decisamente appagante. 

Un village che ha una classicità di stile borgognone, ma che allo stesso tempo è schietto e lascia trasparire il carattere battagliero di Agnes, ma anche la sua sensibilità di donna; muscolare ma raffinato allo stesso tempo.

Sulla scia di Agnes, altre donne si sono affacciate con prepotenza alla ribalta vinicola borgognona, ad esempio Fanny Sabre e ancor di più Cecile Tremblay e ultimamente anche la giovane Aline Beaunè, e seppur nessuna di loro viva in simbiosi con un uomo che ha fatto la Storia, a mio avviso rappresentano ancora quella viticoltura eroica che amo profondamente.