“Deh, quando tu sarai tornato al mondo

E riposato de la lunga via

Ricordati di me, che son la Pia;

Siena mi fè, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma”


(Divina Commedia, Purgatorio. V, 130-136)


Di recente, mi sono imbattuto in un carissimo ex compagno delle scuole superiori e rinverdendo i tempi passati, ci siamo messi a ricordare alcuni professori, tra cui un anacronistico (già negli anni ’80) insegnante di lettere, innamorato della Commedia dantesca al punto di recitarne le terzine in modo austero e teatrale, anticipando di molti anni le interpretazioni di Benigni. Il breve passo introduttivo, è uno di quelli che più mi è rimasto in mente ed è tratto dal Canto V del Purgatorio ed è un po’ strano, visto che, ai miei tempi si era soliti leggere quelli dell’Inferno o del Paradiso, forse perché la dannazione o la santità facessero più presa rispetto ad una situazione redentiva e di espiazione che lasciava una sensazione di stallo. Poco male. 

Come non ricordare quindi la vicenda di Pia, nobildonna senese, della famiglia dei Tolomei, data in sposa a tal Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi nell’antica dimora del Castello della Pietra in Maremma. Dopo pochi anni di matrimonio, il marito la uccise spingendola giù dalla rupe su cui si affacciava il Castello ed ancora oggi quel salto nel vuoto viene chiamato il “salto della contessa”. A Dante, né tantomeno a noi è chiaro il motivo di questo uxoricidio; qualcuno afferma che Pia fosse fedifraga ed accogliesse gli amanti nelle segrete del castello, altri che Nello l’avesse uccisa per convolare a nozze con Margherita degli Aldobrandeschi, della quale si era invaghito; altri che pur di liberarsene, l’avesse accusata di stregoneria e di tradimento, gettandola dalla rupe. Il fatto che mi sia rimasta in mente è probabilmente dovuto all’unicità di questa figura femminile, che, con dolcezza, implora Dante di pregare per la sua anima, per poter espiare le proprie colpe nel più breve tempo possibile.

Le cause della sua morte rimangono un mistero e forse solo le pietre del Castello, se potessero parlare, potrebbero riferire come le cose siano veramente accadute.

Non sempre le pietre sono in balia degli eventi, recitando la parte di autentiche spettatrici, ma a volte, possono essere dirette artefici della nascita di qualcosa di veramente speciale. 

Siamo a San Vincenzo a Torri, nei pressi di Scandicci e più precisamente nell’area collinare intorno a Firenze, meglio nota come Colli Fiorentini, che Dante descrisse più volte elogiandone, non solo il paesaggio, ma anche i vini ivi prodotti. In questo luogo, alberga l’azienda vinicola Uggiano, nata negli anni settanta del secolo scorso, all’interno del castello di Montespertoli, grazie alla smisurata passione di un gruppo di imprenditori della bergamasca, innamorati della Toscana, che ben presto acquisirono gli attuali 80 ettari tra le colline di Montespertoli, Montelupo Fiorentino e San Casciano in Val di Pesa, fondando la cantina a San Vincenzo a Torri. L’azienda alleva sapientemente, in un connubio tra vitigni storici, quale il Sangiovese, gli autoctoni Canaiolo, Mammolo e Ciliegiolo e quelli internazionali dal tipico taglio bordolese con il Merlot ed il Cabernet Sauvignon. 

Una delle punte di diamante della produzione è il “Petraia”. Il cui origine etimologico deriva dalla particolare tipologia di terreno dal quale viene prodotto, argilloso e al tempo stesso ricco di caratteristici ciottoli di pietra, così come confermatomi via mail dall’azienda stessa. Il Petraia, degustato nell’annata 2019 di 14,0° vol., è un blend di Merlot (85%) e Cabernet Sauvignon (15%) ottenuto, post vendemmia manuale, mediante fermentazione con macerazione di c.ca 20 gg. con attento controllo della temperatura ed affinamento per 16 mesi in barrique di Allier, Nevers e Vosges ed altri 12 mesi in botte di rovere da 30 hl, per poi essere conservato in serbatoi inox fino all’imbottigliamento, dove riposa per ulteriori 12 mesi prima di essere commercializzato. 

Ma veniamo alla degustazione; stappato tre ore circa prima di essere servito nell’ampio balloon tipo burgundy, questo vino dal taglio bordolese si presenta cromaticamente di un bel rosso rubino uniforme e visivamente accattivante, con leggere sfumature granate sull’unghia. Al naso, le prime evidenti sensazioni di frutta rossa matura, dal ribes nero, al mirtillo e a una marasca sotto spirito, lasciano ben presto la  scena a chiari sentori di sottobosco, di muschio, grafite  e di tabacco dolce e sul finale lievi tostature di caffè.

In bocca entra con una soave eleganza che fa immediatamente avvertire un tannino delizioso, setoso, seppur deciso. La preponderanza del Merlot gli dona un’ottima morbidezza e rotondità ed il Cabernet Sauvignon gli dà struttura e un voluttuoso tannino. E’ ampio e sostenuto da un’acidità molto equilibrata e serba quella freschezza di beva che non ti fa avvertire l’importante componente alcolica ed il finale, a livello di persistenza gustativa è davvero lungo, lasciando un sottile retrogusto erbaceo.

Un vino che, degustato, ti fa passare in un attimo dal purgatorio al paradiso e  che mi seduce e che mi inebria al punto di spingermi ad emulare, molto modestamente, le gesta dantesche, inducendomi, anche se non sono una cima, a replicar a mio modo quel che sento, in rima…..


….per ritemprare l’anima e lo core

Volgo il pensiero all’unico mio Amore,

che sempre ricercai nella mia vita

cotanta perigliosa e inaridita.

E mentre bramo ch’ella subito m’appaia,

affogo il mio desio

col sorso de’ Petraia,,,,,,


(Elogio diVino- Angelo)