Se facessi parte della Camera dei Lord inglesi, sarei un conservatore di sicuro un po’ atipico, perché incentrato sul conservatorismo progressista ma  mantenendo ben saldi i principi della tradizione. Ma cosa si intende per tradizione?

“Tradizione” dal latino tradere, composto da tra-oltre e dare, consegnare, può essere interpretato più semplicemente come trasmettere oltre; un passaggio di un patrimonio culturale attraverso il tempo e le generazioni. Una trasmissione, quasi ereditaria che non può necessariamente essere presa per oro colato, ma va applicato un discernimento da ciò che va tenuto e da quanto va abbandonato. La tradizione, tende a sfidare il tempo, a restare eterna sopravvivendo alla caducità umana, alla morte fisica, alla perpetuazione generazionale del tramandare di padre in figlio qualcosa che val la pena mantenere intatto e semmai migliorato per essere nuovamente tramandato, al passo con un processo innovativo e progressista che va a braccetto con l’evoluzione dei tempi.

A volte, le tradizioni si traducono in mere consuetudini, spesso abitudinarie, ma allo stesso tempo piacevoli come, banalmente, consumare sempre un determinato alimento in una festa o in una ricorrenza a livello famigliare o più semplicemente osservare scrupolosamente la ricetta della nonna che a sua volta osservava quella della mamma e vi dicendo. 

Se dovessi calarmi nei panni di un viticoltore la mia filosofia di vita sarebbe solamente una: tenere i piedi nella tradizione e la testa nel contemporaneo, essere come un albero che ha robuste radici, inattaccabili ed ancorate saldamente alla terra e la folta chioma rivolta al cielo, al futuro.

Il mio Amore per le tradizioni, non va confuso come il classico rimpianto dei tempi passati, anche perché sarei ipocrita se dicessi che il progresso sviluppatosi dalla mia nascita in poi, non mi abbia consentito, sotto certi aspetti di vivere una vita migliore, grazie alla scienza e alla tecnica. Allo stesso tempo, pur ricordando con nostalgia la mia fanciullezza ed il profumo del vino appena travasato nei fiaschetti di paglia, quello del contadino, venduto sfuso in damigiane, non posso negare che la mia evoluzione enologica sia progredita ed affinata col tempo e con il miglioramento di certe pratiche agricole. 

Se penso a certe tradizioni enologiche, avendo accennato al vino del contadino, ce ne sono ancora oggi alcune che sono così lontane dalla modernità delle aziende vinicole, per certi versi relegate a riti quasi scaramantici e superstizioni, che si scontrano con la rigidità dei moderni disciplinari e dai continui studi agronomici ed enologici. Eppure, chi coltiva vigneti da secoli, pur utilizzando le moderne tecniche odierne, si affida da sempre, per determinati implicazioni alla tradizione e alla cultura, quelle che dovremmo tutelare e proteggere per ricordarci da dove veniamo, per poter comprendere meglio il presente, per evitare la standardizzazione e la vorace globalizzazione, a mio parere i veri mali del nostro tempo, per poter guardare al futuro nella giusta direzione.

C’è chi persegue questa strada da ben cinque secoli e mi riferisco alla storia della famiglia Gini, viticoltori in Monteforte, una delle più antiche nel campo della viticoltura nella zona del Soave Classico. Alcuni studi hanno portato alla luce che, in località Contrada Salvarenza, la famiglia Gini possedeva delle terre già nel XVI secoloLa leggenda del nome "Salvarenza" racconta che una giovane di nome Renza, minacciata dai briganti, fu salvata da un nobile cavaliere nel luogo dove si producono le uve di questo grande cru. La tradizione vincola è passata attraverso i secoli e le generazioni sino ad arrivare a Sandro e Claudio Gini, gli attuali proprietari che custodiscono il sapere e le conoscenze tramandate, unite all’amore e alla passione per la propria terra. La parola d’ordine è tradizione ed innovazione, che convivono in perfetta armonia in tutte le fasi, per la produzione di vini davvero territoriali ed unici. Un’azienda che ha iniziato a muovere i primi passi a livello biologico dal lontano 1985 attuando un rigido rispetto per l’ambiente e per le tradizioni degli antenati che da sempre hanno lavorato la terra con metodi naturali. 

Il vitigno principe, qui, è la Garganega, in purezza nella degustazione del
 Soave Classico “Contrada Salvarenza” annata 2019 di 13,0 Vol.
, coltivazione biologica certificata, prodotto su terreni con venatura calcarea con piccoli strati tufacei e sistema di allevamento Pergoletta Veronese. Età media delle viti 100 anni, con un terzo a “piede franco”, quindi non innestate con la vite americana e pertanto risalenti a un periodo precedente all’attacco della Fillossera (1870-1920). Vendemmia tardiva (fine ottobre), breve contatto del mosto con le bucce, pigiatura soffice e immediato raffreddamento del mosto. Affinamento in botti grandi e fusti di legno stagionato almeno 3 anni, svolge la malolattica, poi il vino riposa per 12 mesi in pieces da 228 litri in grandi botti a contatto con lieviti naturali ed infine affinato in bottiglia per ulteriori 6 mesi prima di essere commercializzato. 

Ma veniamo alla degustazione: aperto un’ora circa prima di essere servito e versato nell’apposito balloon si presenta di colore giallo paglierino mediamente carico, limpido ed uniforme; al naso emergono nitidi sentori fruttati di pesca gialla, pera, accenni di limone maturo e di frutta tropicale, a seguire nuances floreali di gelsomino e sul finale effluvi iodati, leggermente salmastri e un tocco di pietra focaia.

In bocca è stupefacente ed avvolgente, non opulento, ma con sensazioni di grassezza in parte salivante ed il palato viene attraversato da una sensazione di dolcezza, quasi mielata, con il sostegno di una bella acidità e di una spiccata mineralità, con punte di intrigante sapidità e sorretto da un finale decisamente amaricante e lungamente persistente. 

Un vino che, seppur giovane lascia intravedere una lunghissima strada evolutiva davanti a sé e sono ben felice di averne un’altra in cantina che lascerò affinare per almeno altri 5 anni. 

Un vino per il quale ci si deve togliere il cappello ossequiando la tradizione secolare della famiglia Gini, ma con un occhio di riguardo alla costante innovazione che permette a questi vini di rappresentare un punto di riferimento per un territorio altamente vocato ed amato dagli appassionati come il sottoscritto. Prosit!!