Capita, ogni tanto, facendo zapping televisivo, di imbattermi in uno dei film facenti parte della fortunata trilogia de “Ritorno al futuro” di quel genio cinematografico di Robert Zemeckis, che negli anni ’80 sbancò i botteghini di tutto il mondo, oltre a consacrare due attori come Michael J.Fox e Christopher Lloyd. Quante volte ho desiderato poter essere alla guida della Delorean DMC-12 per potermi spostare nel tempo, utilizzando una potenza elettrica di 1,21 gigawatt, alla velocità di 88 miglia orarie…..Potessi realmente farlo, d’istinto non esiterei a ritornare indietro nel tempo, al 1997, per poter rivedere mio padre e magari cambiare il corso delle cose, rischiando, come nel film, di rivedere me stesso e di deformare la linea spazio/tempo, pur di poterlo riabbracciare per un’ultima volta. Se avessi una seconda chance, vorrei catapultarmi in quel periodo tradizionalmente identificato come deterioramento demografico, culturale ed economico verificatosi prettamente in Europa Occidentale in seguito al declino dell’Impero Romano, vale a dire al periodo dei secoli bui del Medioevo. Un periodo caratterizzato da guerre terribili, come quella dei Cent’anni o come le Crociate, da carestie e pestilenze, dove la società era affetta dai peggiori vizi e contraddizioni e sicuramente parte della popolazione non viveva in condizioni di prosperità. Un periodo caratterizzato anche da aspetti sicuramente positivi se penso alla mia passione vinicola e al fondamentale ruolo che i monaci Benedettini e Cistercensi hanno avuto nello sviluppo ampelografico dei territori, che ancora oggi fanno parte della storia enologica mondiale, uno su tutti, la mia amata Borgogna, disseminata di Abbazie, da quella di Saint-Vivant, a Citeaux e a Cluny solo per citarne alcune e ai vigneti mitici che ancora oggi producono i migliori Chardonnay e Pinot Noir al mondo.

Per un istante, vorrei essere un luogotenente di Carlo Magno, che alle soglie dell’incoronazione di imperatore nell’anno 800 d.C. e di ritorno da una delle tante campagne militari, si accampo’ con le sue truppe nei pressi della collina di Aloxe Corton, nell’attuale Cote de Beaune, in Borgogna, e da appassionato di vino, nonché bevitore moderato, vide che sul versante della collina summenzionata la neve si scioglieva prima che altrove ed ordinò, per la sua felice posizione, ben esposta, di coltivare un vigneto che prendesse il suo nome (l’attuale vino è il celeberrimo Aloxe-Corton Charlemagne) Recentemente, mi sono imbattuto in una fotografia rappresentante la firma di Carlo Magno, un vero e proprio monogramma, ossia un unico segno grafico costituito dall’insieme di più lettere, nella fattispecie, un simbolo formato dalla combinazione delle iniziali del nome aggregate a forma di croce. E’ risaputo che Carlo Magno non sapesse scrivere, ed utilizzava un monogramma con cui autografava e sigillava i documenti e gli atti imperiali, tra l’altro, forse il più falsificato della storia, nonostante per questo c’era la pena di morte.  La sua firma era costituita dalla sintesi del nome KAROLUS; una croce, dove in corrispondenza dei quattro bracci erano situate le lettere K R S L (in senso orario) con al centro aggregate le vocali A, O, U. 

Tra l’altro, grazie alla collaborazione del filosofo e teologo, nonché consigliere dell’imperatore, tale Alcuino di York, Carlo Magno promulgò la scrittura carolina che anticipava di secoli il nostro modo di tracciare a mano le lettere dell’alfabeto. A ragion veduta possiamo dire quindi che il monogramma identifica l’autenticità di uno scritto, nel caso di Carlo Magno, di un’opera nel caso di un pittore o di uno scultore e anche di un vino nel caso di un viticoltore, così come è stato elaborato dall’azienda vinicola Pojer e Sandri, con la linea dei vini Riesling, Muller Thurgau e Traminer aromatico denominata “Monogramma” e che riportano entrambi sull’etichetta un simbolo distintivo formato da una A sotto la quale campeggia una D. Non ho contattato i produttori (amici di lunga data, che nel 1975, con appena due ettari, poche risorse, qualche idea, molto coraggio, ma soprattutto un sogno, hanno iniziato a produrre vini di gran pregio tra la Valle dell’Adige e la Valle di Cembra, precisamente sulla collina di Faedo) per farmi spiegare il significato del monogramma inciso sull’etichette, ma di sicuro le lettere sono associate all’artista Albrecht Durer, massimo esponente del rinascimento tedesco pittorico, che si firmava in questo modo e che nel suo percorso verso Venezia era solito fermarsi a Faedo fotografando con i suoi acquarelli i paesaggi trentini. Le opere di Durer, sono spesso raffigurate sui vini di Pojer e Sandri, al punto di essere diventate vere e proprie materiali di studio per le loro etichette, trovando la giusta veste ad un prodotto nobile come il vino. Se guardo attentamente il monogramma, la lettera A sembra l’unione di due T che quasi si abbracciano ed identificano, a mio modo di vedere, il territorio, ovvero il Trentino e la D le Dolomiti. In buona sostanza, sono convinto che oltre al monogramma dell’artista tedesco identificano un vero e proprio marchio di fabbrica di vini prodotti da vigneti delle Dolomiti. Penso che tutto ciò non sia casuale, perché proprio dai viaggi in Italia, Durer subirà una maturazione evidente del proprio stile attraverso una complessa introspezione psicologica, nella ricerca di una perfetta armonia tra l’uomo e il paesaggio in cui è inserito e quindi, il suo monogramma diventa una sorta di ugual comparazione tra i produttori Pojer e Sandri ed il vino, alla costante ricerca di una simbiotica ed armonica genuinità.

Curioso, un po’ per l’etichetta enigmatica e in parte per aver già degustato altri vini prodotti da questa azienda, ho voluto degustare il Riesling Monogramma annata 2019 di 12,5° vol, prodotto da un vigneto posto a 450 metri s.l.m. con esposizione est su terreno sabbioso dal colore bruno, ricco di scheletro (ciottoli arrotondati). Le uve, vendemmiate tardivamente in cassoni da 200 kg. vengono raffreddate in una cella frigo e l’indomani i grappoli lavati ed asciugati. La pressatura dell’uva intera avviene in atmosfera controllata con tecniche sviluppate in azienda volte a salvaguardare il frutto riducendo l’utilizzo di antiossidanti esogeni. Amante del Riesling, in primis quelli teutonici, non indugio e stappo la bottiglia versando il contenuto nel calice di degustazione dove si presenta di color giallo paglierino tenue, limpido e senza sbavature; al naso emergono nitide ed immediate sensazioni fruttate di pesca ed albicocca. Lasciato ulteriormente ossigenare nell’apposito calice di degustazione, si avvertono sentori di erbe aromatiche e di fieno, a seguire cera d’api e sul finale effluvi decisamente balsamici. In bocca entra in modo carezzevole e voluttuoso allo stesso tempo, grazie ad una componente salivante che invoglia ad una continua beva. L’intero arco palatale è attraversato da una piacevole sensazione di dolcezza, quasi mielosa che non disturba, talmente è controbilanciata da una spiccata acidità; coinvolgente ed avvolgente e con un retrogusto sapido, sorprende per una persistenza gustativa davvero lunga. Un 

Riesling davvero ben fatto, che sarebbe piaciuto sicuramente all’artista tedesco che, assaporandolo, magari in un contesto bucolico trentino avrebbe maggiormente ampliato la sua maturazione artistica.