I’m very sure,

This never happened to me before

I met you and now I'm sure

This never happened before……


(Paul McCartney- 2005)


Questi sono i versi iniziali di “This never happened before”, dodicesima traccia dell’album Chaos and Creation in the Backyard , venuto alla luce nell’ormai lontano 2005, dove l’ex bassista dei Fab Four ricerca un ritorno a sonorità già sperimentate a fine anni settanta con due album solista.

Il testo ci racconta la scoperta di una nuova dimensione, quella in cui solo coloro che amano riescono a ritrovarsi. "È così che dovrebbe essere" afferma più volte l'innamorato, stupito e felice per qualcosa che sicuramente non gli era mai accaduto prima.

Parole apparentemente scontate, ma che in realtà non lo sono affatto e che sconfinano in una sorta di destino, un filo rosso che unisce due anime.

Questa canzone è resa celebre per essere stata inserita in una scena cruciale del film “La casa sul lago del tempo”, romantica storia d’amore ambientata in una dimensione senza tempo che ha visto la reunion di due attori al culmine del loro successo e mi riferisco a Sandra Bullock e Keanu Reeves, rincontratisi anni dopo la saga di “Speed”.

Il film si sviluppa su due piani temporali che si sovrappongono al punto che chi lo guarda a volte fa fatica a capire se si sta vivendo nel passato o nel futuro e comunque il tempo gioca un ruolo fondamentale, a volte cinico, a volte salvifico. 

Tempo inteso come attesa che logora e che allo stesso tempo (scusate il giro di parole) diventa speranza di poter attraversare un ideale stargate che culmina con il raggiungimento della felicità tanto agognata. Il tempo, che quasi sembra voler sopraffare l’amore, dove a tratti sembra rappresentare la ragione o comunque assurge a quello che potremmo definire “l’ostacolo del cuore”, ossia i turbamenti personali dei due protagonisti, alle prese con le proprie vite per certi versi un po’ irrisolte. 

L’attrazione, con parole e sentimenti, attraverso la porta spazio-tempo di una cassetta delle lettere all’entrata della casa sul lago, sembra la principale protagonista, ma in realtà è la forza del destino ad essere arbitra degli eventi e non tanto le azioni dei due protagonisti.

Il finale, forse scontato, è altamente romantico e ci si potrebbe chiedere se sia l’unico lieto fine o forse sia stato solo il fortunato epilogo di aver imboccato la sliding doors giusta, piegando a proprio favore la linea del tempo. Io penso che il destino, in questo caso aforisma di seconda chance sia l’ineluttabile desiderio di poter vivere la storia d’amore della propria vita. 

Ed è il destino che ha fatto incontrare sulla mia strada un vino che sfida qualsiasi linea del tempo, qualsiasi ragione, ma che diventa assolutamente puro sentimento ed emozione. Mi riferisco al Varron Savagnin annata 2018 di 13,5°vol. , creazione di Peggy e Jean-Pascal Buronfosse; i due coniugi, originari di Saint Etienne, nel 2002, dopo il trasferimento nelle zone di Rotalier, nello Jura, iniziano una collaborazione con il mitico Jean
 Francois Ganevat e la Famiglia Labet. Recuperano vecchi vigneti acquistandone per 2 ettari ed altri 2,5 presi in affitto ed iniziano a vinificare utilizzando unicamente lieviti indigeni con uso di solforosa solo durante la pressatura e con attenzione e cura maniacale in vigna. A differenza di quanto avviene per la gran parte dei vini di questa regione, i vini vengono messi in tonneau riempiti interamente (ouillè) evitando quel fenomeno di maderizzazione che contraddistinguono i più famosi  Vin de Paille e Vin Jaune. Questo Savagnin, nasce da una selezione parcellare su suolo Bajociano (Giurassico medio) con marne color ocra/rosso e stratificazioni di calcare. Ma veniamo alla degustazione.

Stappato mezz’ora prima di essere servito e versato in ampio balloon, si presenta di color paglierino tendente all’oro fino , limpido e uniforme.

Al naso è un tripudio di frutta tropicale, passion fruit, ananas maturo e scorza di lime ed a seguire emerge anche una lieve nota floreale di glicine, ma appena accennata. Il finale è dominato da un sentore di nocciola lievemente tostata.

In bocca entra con sensualità e con un’ampiezza che avvolge l’intera cavità orale, in un corollario gustativo che riprende decisamente le note tropicali avvertite al naso. Acidità in evidenza e con un tocco di sapidità su di una chiusura aromatica persistente e lunga con un retrogusto finemente amarognolo che impreziosisce il livello gustativo.

Un vino “complicatamente” semplice, come un amore cercato, inseguito e a portata di mano dove solo il destino benevole (in questo caso) o crudele può essere arbitro di piaceri ed emozioni senza tempo.