La mia passione per il mondo del vino, che oramai si avvicina verso i 25 anni, mi ha portato ad ammirare e a sostenere quella che definisco “viticoltura eroica”, che non presuppone unicamente la lavorazione dei vigneti in luoghi impervi o climaticamente estremi, ma che contempla ancora l’uso del cavallo tra i filari, in luogo di trattori più o meno pesanti e di diverse dimensioni. 

Fino all’avvento della rivoluzione industriale, l’uso del cavallo da tiro nelle vigne, per arare e dissodare il terreno era la norma; di certo il suo uso identificava un approccio molto più naturale rispetto all’uso di mezzi a motore, anche se la fatica nel gestire un animale per un’intera giornata fosse molto più probante. D’altra parte, però, l’uso del cavallo risulta essere sicuramente meno invasivo; il peso dell’animale, decisamente molto inferiore rispetto a quello di un semplice trattore, lascia il terreno in cui si muove meno compatto con evidenti benefici e l’impatto ambientale a livello di ecosistema può trarne solo giovamento. Inoltre, il lavoro fianco a fianco tra animale e uomo origina una sorta di muta complicità e di un legame indissolubile, un chiaro trade-union che porta solo vantaggi.

Non si tratta di un ritorno al passato o di contrastare il progresso, ma al contrario è una sorta di “ritorno al futuro”, dove l’uso del cavallo è ritornato in auge, soprattutto per chi alleva la vite in biologico e biodinamico, ma che, a mio parere, debba essere esteso anche a chi lavora in modo tradizionale. Mi rendo anche conto, comunque, che usare il trattore sia molto più comodo e meno dispendioso a livello fisico.

Nei miei viaggi nel vino, ho due ricordi indelebili, che ho immortalato a livello fotografico e precisamente si riferiscono all’uso del cavallo in vigna e mi riferisco al Sancta Sanctorum dei vigneti mondiali, ovvero il celeberrimo Romanèe-Conti, mentre l’altro si riferisce ad uno splendido esemplare guidato da un' amazzone, nel risalire la mitica collina dell’Hermitage e di proprietà del Domaine Jaboulet.

Uso del Comtois a Romanèe-Conti

Uno dei cavalli più utilizzati nella viticoltura è senza dubbio la razza Comtois, originaria della Francia (Jura), altezza al garrese 150-160 cm, dal mantello baio ed apprezzato per essere docile, attivo e volenteroso; è particolare per avere la testa con una forma squadrata, occhi vivi e orecchi piccoli e mobili, collo dritto e muscoloso, tronco profondo e dorso forte. Gli arti sono possenti, l’ossatura è robusta e le zampe sono solide. Caratteristico il ciuffo.


Uso del Comtois alla collina Hermitage

La storia ci dice che fosse allevato già nel VI secolo e studi recenti asseriscono che discenda dai cavalli germanici importati dai Burgundi e che nel medioevo fossero impiegati come cavalli da guerra. 

Uno di questi cavalli viene utilizzato quotidianamente da una azienda vinicola alsaziana che riesce a dar vita, attraverso una viticoltura biodinamica certificata Ecocert, a vini naturali dotati di carattere e di unicità. Sto parlando del Domaine Marc Kreydenweiss, situato ad Andlau, a metà strada tra Strasburgo e Colmar, ai piedi dei Vosgi e i suoi vigneti beneficiano di un clima continentale e sono caratterizzati da un mosaico di differenti terroir; 13, 5 ettari che possono annoverare tra l’altro 4 Grand Cru. 

L’affetto che nutrono nel loro cavallo comtois è stato premiato andando a raffigurarlo, grazie all’artista Julie Salmon, sull’etichetta del Riesling Andlau 2018 di 13,0° Vol, che ho degustato amabilmente, accompagnandolo a un succulento piatto di spaghetti alle vongole veraci.

Vino che nasce da un vigneto di 2,20 ettari situato a 240/260 m slm e composto da arenaria rosa dei Vosgi; pressatura lenta in grappoli interi, fermentazione alcolica e malolattica con lieviti indigeni, affinamento sui lieviti in tini di rovere per 1 anno prima dell’imbottigliamento.


Ma veniamo alla degustazione…..

Si presenta di color giallo paglierino limpido e brillante con riflessi d’oro fino; al naso emergono immediati aromi agrumati di scorza di limone, di mandarino, melone e variegati frutti esotici. In bocca, è pronunciata la sua mineralità ed il suo sorso decisamente salino, che risulta accattivante e ruffiano allo stesso tempo. Un riesling che, seppur giovane, ha struttura e non è difficile immaginare una sua indiscutibile longevità. Beva scorrevole, divertente e molto appagante, dove il finale, fa emergere una nota amara davvero interessante su di una persistenza aromatica lunga e molto piacevole.

Emerge una naturalità che risulta indiscutibilmente il suo punto di forza, rendendosi non allineato ai canoni degli usuali riesling alsaziani. Da provare.

Ripensare a questo cavallo e rivivere nella memoria le immagini dei ricordi equestri, mi ha dato un enorme piacere e mi ha decisamente rallegrato nel condurre una degustazione ben riuscita e con bellissime sensazioni.