La mia predilezione per i vini bianchi francesi mi porta sovente a ripercorrere con la mente luoghi e produttori visitati nei numerosi viaggi iniziati ormai nel lontano 2006. Mi piace ricordare, con grande felicità, ma anche con un pizzico di nostalgia l’affascinante cittadina di Sancerre; siamo nella Loira Orientale, zona di elezione del Sauvignon Blanc, ed ogni volta che ripenso a questo ameno luogo, io che sono un amante della storia, non posso non soffermarmi sul terribile assedio che è rimasto una pietra miliare nelle vicende francesi.

Siamo nel XVI° secolo, prima che il vino assurse a queste latitudini a vera e propria eccellenza, circolavano nella cittadina le nuove idee della riforma predicate dal monaco Jean-Michel, al punto che gran parte della popolazione convertita al protestantesimo professava il culto nella chiesa di Saint-Jean, posta nelle vicinanze di quella attuale. 

Ben presto Sancerre divenne luogo strategico per i protestanti, posto a metà strada, quasi ad anello di congiunzione tra Ginevra e La Rochelle, dove il proselitismo calvinista iniziava a spopolare seminando preoccupazione tra le file cattoliche, al punto di diventare città rifugio per gli ugonotti in fuga dalle persecuzioni. Ben presto il Re di Francia, il cattolico Carlo IX, sentendosi minacciato, mosse una vera e propria guerra di religione contro la fazione dei protestanti. Il pretesto per attaccare la città di Sancerre fu il rifiuto di permettere ad una guarnigione reale di stabilirsi nel castello, dando luogo ai primi attacchi tra il 1568 e il 1569, sempre respinti. Nell’autunno del 1572, Sancerre offrì rifugio a 500 protestanti in fuga dalla repressione cattolica; a quel punto re Carlo IX e il governatore di Berry, Claude de la Chatre mossero un assedio feroce per la presa della roccaforte, aumentando nei mesi il numero delle truppe e prima che finisse l’inverno, nel marzo del 1573, bloccarono qualsiasi tipo di rifornimento in città. Il blocco andò avanti per 4 mesi, durante i quali i Sancerrois, oltre a sperare nel vano aiuto esterno di qualcuno, per resistere, macellarono tutti gli animali, razionalizzarono il pane, di sicuro finirono il vino ed arrivarono al punto di cibarsi di stufati di ardesia frantumata, topi e pelli, finchè il 20 agosto capitolarono nell’assalto finale con copioso spargimento di sangue. Gli onori delle armi, per la strenua resistenza, non bastarono a lenire le sofferenze dei soldati superstiti.

Il governatore de la Châtre fece trasportare la campana del campanile e il movimento del suo orologio, prima a Nancay nel suo castello, poi a Bourges, in modo che non rimanesse alcun segno della città. Questi due elementi della storia tornarono a Sancerre per riprendere il loro posto nel campanile dell’odierna chiesa parrocchiale. 

E’ probabile, che gli antenati di Francois Cotat, contadini di Chavignol assistettero, come “spettatori” all’assedio di Sancerre; d’altra parte la distanza che divide le due cittadine, separate da una vallata, è di c.ca 4 km. 

Mi piacerebbe pensare (anche se la realtà sarà sicuramente diversa) che il Sancerre “Caillottes” che produce Francois, debba il suo nome in qualche modo in assonanza con l’assedio della roccaforte. In francese “caillottes” significa coaguli e mi sono venuti in mente i coaguli di sangue dei morti disseminati per la cittadina una volta espugnata. 

Per fortuna questi “caillottes”, non sono coaguli di sangue ma bensì di un nettare che ha ben pochi rivali se parliamo di Sauvignon Blanc, in un terroir di elezione mondiale.

I vini di Cotat sfidano il tempo e le mode e il suo nome, al pari del cugino Pascal echeggia in tutto l’enclave della produzione di Sancerre, diventato nel tempo, un vero e proprio punto di riferimento. 

Il vigneto “Caillottes” si trova appena ad est del più celebrato “Mont Damnès”, a Chavignol e il terreno è un mix di calcare gessoso ed argilla; di recente acquisizione, visto che la prima annata messa in vendita è stata la 2005. Vendemmia manuale, pressatura con vecchio torchio verticale in legno a pieno grappolo; fermentazione su lieviti indigeni ed affinamento in tonneaux con più passaggi. Travasato e imbottigliato secondo il calendario lunare, senza alcuna filtrazione.

Ma veniamo alla degustazione:

Tappo sanissimo di 4,7 cm ricoperto da sottile ceralacca di color azzurrino in pendant con l’etichetta. 

Si presenta di color giallo paglierino tenue, con riflessi verdolini, limpido e brillante alla vista. Al  naso i sentori sono tipicamente di frutta gialla, con tanta pesca, pera e mela verde. Lasciato ulteriormente ossigenare ed opportunamente roteato nel bicchiere, emana un non so che di pietra bagnata ed un particolarissimo accenno di cetriolo.

In bocca è di una eleganza e raffinatezza fuori dal comune, con una componente leggermente salivante e con una spiccata salinità quasi piccante. I rimandi olfattivi si sentono anche al palato con l’aggiunta di note agrumate di lime e di uva spina. Notevole la struttura e soprattutto la persistenza gustativa davvero lunga; un vino che resta in bocca lasciandoti una piacevolezza di gusto, quasi aristocratico. 

Francois Cotat ha la capacità, con i suoi vini, di eliminare qualsiasi barriera, mettendo d’accordo universalmente chi, per retaggio, storia e cultura viaggia su posizioni opposte.  La magia del vino è anche questa, unisce senza mai dividere.