La prima cosa che ho fatto questa mattina è stata quella di verificare il meteo sul percorso della Parigi-Roubaix, la classica “monumento” per eccellenza, definita nel mondo ciclistico professionistico come “l’inferno del Nord”. La Roubaix, non è Roubaix se il tempo non è inclemente (oggi danno acqua) e mi spiace per i ciclisti che percorreranno i 257 km con inseriti 29 settori di pavè per 55 km complessivi, con il tratto mitico della “Foresta di Aremberg”, ma il tempo perturbato renderà la corsa sicuramente più difficoltosa ed avvincente e solo un ciclista con gli attributi e con un pizzico di fortuna (tante le forature) riuscirà a portarsi a casa una gara che basterebbe a far vivere di rendita un corridore per l’intera carriera. 

Dal 1977, anno in cui vinse il campione belga De Vlaeminck, il vincitore si ritrova tra le mani una pietra di porfido, in apparenza un premio rozzo, sicuramente unico nel suo genere, un pezzo di pavè simbolo della gara ciclistica. L’intuizione venne in mente agli “Amis de la Paris-Roubaix , che ogni hanno individuano un tratto capace di sopportare l’estrazione di uno dei suoi elementi e lo stesso viene accuratamente scelto dal presidente di questa associazione.

“Una maledetta lotteria per belgi che si corre sulle pietre” . Queste parole sono state pronunciate da Jacques Anquetil, indimenticato campione degli anni sessanta del secolo scorso, capace di vincere 5 Tour de France ma che pur partecipando ad 11 edizioni non riuscì mai a far sua questa incredibile gara. I francesi non l’hanno mai amata essenzialmente per 3 motivi:

  1. A parte questa edizione che per motivi pandemici si corre ai primi di ottobre, di norma viene svolta la domenica di Pasqua e i francesi non hanno mai digerito questa collocazione;
  2. È una lotteria di oltre 250 km sulle pietre, dove i belgi hanno da sempre fatto scuola;
  3. E’ una vera e propria corsa infernale……


Emblematica è stata l’edizione 1981, dove il francese Bernard Hinault, che correva con la casacca di campione del mondo, apertamente contro questa corsa, si aggiudicò l’unica Roubaix della sua vita  dopo essere caduto ben 6 volte, l’ultima per colpa di un cane bastardino posto sul percorso. Come tagliò il traguardo le prime parole furono le seguenti: “la vogliamo abolire questa corsa maledetta??”

Al contrario ci furono ciclisti che di questa corsa ne fecero la propria bandiera, come il mio mito Francesco Moser capace di vincerla consecutivamente dal 1978 al 1980. 

In sintesi questa corsa o la ami o la odi!!!

Ci sono vini che incarnano ataviche diatribe stile Parigi-Roubaix, ovvero vini che si amano alla follia o al contrario si odiano visceralmente. Per correttezza non faccio nomi, ma solo per esemplificare potrei riferirmi a determinati vini “naturali”, o ad altri particolari come i “maderizzati”. Forse la parola odiare è un po’ troppo forte, ma vale per rendere l’idea. 

Ce ne sono altri che da principio non incontrano il nostro gusto ma che, in un secondo momento, come se avessimo domato i pavè del nord, diventano di nostro totale gradimento al punto di sovvertire un affrettato giudizio.

Mi sto riferendo ad un vino in particolare, il Vina Tondonia Reserva Tinto, annata 2000 di 12,5°vol. della Bodega Lopez de Heredia. 

Nel lontano 2009, a margine del tour a Bordeaux, mi sono avventurato appena oltre i pirenei in territorio spagnolo e precisamente nella piccola regione della Rioja; 5000 km quadrati di cui 64000 ettari attualmente vitati. Ho visitato la Bodega LopeZ de Heredia,la più antica di tutta la Rioja fondata nel 1877 da Don Rafael Lopez de Heredia y Landeta, che in concomitanza con la calata dei vignerons bordolesi, giunti in terra iberica per risolvere il problema causato dalla filossera, cercando terreni alternativi per la produzione di vino, lo spronarono a pianificare e costruire quella che oggi è forse l’Azienda top dell’intera regione. 

Nella classificazione spagnola, questo è un vino Reserva, quindi con invecchiamento di almeno 3 anni di cui almeno 1 passato in barrique di rovere ed i vitigni utilizzati in blend sono il Tempranillo (varietà più diffusa) che da equilibro al vino, la Garnacha (alter-ego della grenache francese o del cannonau sardo) che da colore e tasso alcolico ed il Graciano che equilibra l’acidità. Se ci passate merita una visita la cantina millenaria e chilometrica con un’innumerevole ed interminabile fila di botti colme di vino. Ricordo che nella degustazione effettuata al termine della visita, in una saletta un po’ anonima, il Reserva Tinto mi aveva lasciato non poche perplessità; un vino secco, decisamente ermetico, quasi impalpabile e disorientante. Non mi ha deluso, ma l’ho quasi detestato…….Ne ho acquistata una bottiglia , quasi per ricordo, ma ha distanza di anni (ben 12), stappandola, ho cambiato decisamente idea.

Alla vista è un bel rosso rubino con tenui riflessi aranciati sull’unghia. Per avere oltre 20 anni sulle spalle, il colore ha ancora molta gioventù al suo interno.

Al naso emerge inizialmente la parte fruttata di prugna, ciliegia marasca ed amarena ed a seguire subentrano decisi sentori di sottobosco fungino alternato a sensazioni ematiche e sul finale lievi tostature di torrefazione e cuoio.

In bocca è ben presente, con una spiccata acidità ed un tannino appena accennato ma rotondo, con un’ampiezza gustativa che riprende le note fruttate e fungine avvertite al naso. 

Elegante, a tratti raffinato con un po’ di rovere, su di un finale lungo, avvolgente ed appagante. Un vino che negli anni ha saputo affinarsi decisamente bene e che ha ancora strada davanti a sé.

La Roubaix, ciclisticamente resta un sogno….. fossi stato un corridore sarebbe stata la mia corsa. Poco male, mi consolerò guardandola tranquillamente in poltrona davanti alla TV, sorseggiando amabilmente un vino che dall’inferno del 2009 è passato al Paradiso nel 2021.